venerdì 24 ottobre 2008

Libro di Carlo Vulpio contro il rigassificatore a ridosso della Valle dei Templi



L'ultimo libro di Carlo Vulpio “Roba Nostra” (edizioni “Il Saggiatore”) sarà presentato:
- Mercoledì 5 Novembre alle ore 18,30 a Palermo c/o la Biblioteca Comunale di piazza Professa 1, nel contesto delle Giornate dell'economia promosse dalla Fondazione "Angelo Curella".
- Giovedì 6 Novembre alle ore 17,30 ad Agrigento presso il “Teatro della Posta Vecchia” di via Atenea a cura della libreria “Capalunga” del dinamico Amedeo Bruccoleri che coordinerà la presentazione del libro e il dibattito che seguirà.

Vulpio è l'inviato del Corriere della Sera che da anni va girando l'Italia per raccontarci, con coraggio, le trame del malaffare che coinvolgono mafia, 'ndrangheta, malavita in generale, ma anche pezzi della società “istituzionale” rappresentata da alcuni politici corrotti e da alcuni magistrati collusi che tessono ambigui intrecci per la gestione non proprio trasparente di appalti pubblici e della torta appetitosa dei fondi miliardari della comunità europea. Quelle losche trame che hanno attraversato e attraversano la cosiddetta seconda Repubblica.
Ci piace riportare l'incipit del primo risvolto di copertina del libro: “Bisogna far sistema. Questa ricetta con cui in genere le economie decollano e i paesi si sviluppano trova da noi un'applicazione tipicamente all'italiana. Consiste nella capacità inesauribile di stabilire reti di complicità tra politici, esponenti professionali e istituzionali, faccendieri e malavitosi, con un unico scopo: saccheggiare i beni e le risorse pubbliche”.
Solo per ricordare una delle sue tante inchieste, Vulpio è il giornalista che ha scoperchiato sul Corriere della Sera il vaso di Pandora dell'indagine giudiziaria “Why not”, condotta da Luigi de Magistris, per cui il coraggioso magistrato è stato poi trasferito ad altra sede. I don Rodrigo del Sud, anche quelli con i baffetti alla Figaro, sembrano averla vinta. Ma, fin quando ci saranno giornalisti come Vulpio che sanno affondare il bisturi nella “gomorra” sociale italiana senza timori riverenziali per chicchessia, resiste la speranza che, alla lunga, i malavitosi tradizionali e quelli con i “colletti bianchi” non la spunteranno.
Vulpio è anche il giornalista che per primo si è occupato dell'affaire rigassificatore di Porto Empedocle, dalle pagine del Corriere il 26 marzo dello scorso anno, con una coraggiosa inchiesta dal titolo “Scontro sul rigassificatore vicino alla Valle dei Templi”.
Al saccheggio (fino ad oggi tentativo di saccheggio) della Valle dei Templi di Agrigento Vulpio ha dedicato un intero paragrafo del suo libro dall'eloquente titolo “Gas nella Valle dei Templi di Agrigento”, inserito nel capitolo più vasto dal titolo altrettanto eloquente “Le mani sul patrimonio dell'umanità”.
Senza peli sulla lingua ci spiega, attraverso un excursus di 10 pagine, l'intrigo di alcuni politici, sindacalisti, funzionari infedeli, faccendieri, ecologisti pentiti (dagli accorati appelli alle repentine ritrattazioni “folgorati” sulla via del rigassificatore,come è successo al presidente del Fai e al capo delegazione italiana dell'Unesco) che hanno potuto ideare, progettare e, a vario titolo, sostenere e avallare ciò, che se realizzato, potrà essere, a tutti gli effetti, considerato un crimine contro il patrimonio culturale universale.
Vulpio, con questo suo nuovo libro, dimostra ancora una volta di appartenere a quei pochi giornalisti italiani di razza che possono a buon diritto definirsi “dalla schiena dritta”. Non a caso la prefazione del libro è stata curata da Marco Travaglio che, nel concluderla, avverte “nessuno, grazie a questo libro, potrà più dire di non aver saputo”.
Gaetano Gaziano
tanogaziano@yahoo.it Continua a leggere...

lunedì 20 ottobre 2008

Gli intellettuali e il rigassificatore


(Questo mio articolo che segue è stato parzialmente pubblicato sulle pagine regionali siciliane de "La Repubblica" del 17 ottobre e sul settimanale agrigentino "Grandangolo" del 18 ottobre. Gaetano Gaziano)

Non sono d'accordo con Umberto Santino, quando afferma, su Repubblica, che chiedere agli scrittori un impegno civile e che “facciano da bussola di orientamento non ha senso, perché anche se scegliessero l'impegno civile esplicito e militante non so se avrebbero un peso reale nell'innescare un processo di mutamento”. Per Santino la parola degli scrittori “non ha effetti taumaturgici”, per cui, sembra concludere, tanto vale che stiano zitti o che si limitino a scrivere storie.
Non amo, preciso subito, gli scrittori che scrivono solo storie: preferisco quelli che antepongono l'impegno civile allo stesso impegno culturale, come, solo per fare qualche esempio illustre, i due grandi della letteratura, Zola e Brecht.
Condivido invece quanto asserito, sempre su Repubblica, da Salvatore Butera nell' articolo dall'eloquente titolo “Il tenace silenzio di scrittori e borghesia” che riprende e amplifica l'atto di accusa di Stefano Vilardo, per cui “gli scrittori siciliani non gridano più”. E' vero, morti Leonardo Sciascia e Gesualdo Bufalino, “la nuova generazione di scrittori non riesce a trovare la cifra di un impegno civile almeno paragonabile a quello dei due grandi scrittori scomparsi”. Lo stesso Andrea Camilleri, che pure aveva lanciato sulla stampa un accorato appello per salvare il barocco del Val di Noto, non ha speso una sola parola a favore della sua Vigata letteraria e per la Valle dei Templi di Agrigento, oggi minacciate dalla costruzione di un rigassificatore da 8 miliardi di metri cubi a Porto Empedocle, proprio sotto la casa natale di Luigi Pirandello e a ridosso della Valle. Anzi, a leggere le sue dichiarazioni su un quotidiano siciliano, ha affermato che, essendo la zona dove dovrà sorgere l'impianto già degradata, che ben venga l'impianto industriale, anche se al confine del parco archeologico. Non riusciamo a comprendere il comportamento schizofrenico di Camilleri, che peraltro è in contrasto con la normativa europea, recepita dal nostro codice dei beni culturali e del paesaggio, che subordina le esigenze dei paesaggi degradati a quelle dei paesaggi eccellenti, come appunto la Valle inserita nella lista Unesco, e non viceversa. E' anche puntuale l'accusa che Butera fa agli intellettuali e alla borghesia siciliana in generale. Voglio ricordare, al riguardo, che è stato il toscano Salvatore Settis, rettore della Scuola Normale di Pisa e presidente del consiglio nazionale dei beni culturali, a definire per primo “indecoroso” il progetto di rigassificazione, in una trasmissione televisiva di Rai3. I nostri intellettuali, ad eccezione degli economisti Pietro Busetta e Mario Centorrino, non hanno preso una pubblica posizione contro il rigassificatore. Temono forse, come osservava Giovanni Russo riferendosi a Sciascia e ad altri pochi intellettuali meridionali, di “essere considerati dalle borghesie conservatrici del Sud poco meno che dei traditori che osano lavare i panni sporchi in pubblico”? Non so dire. Fatto sta che gli intellettuali siciliani non gridano più, anzi sembrano sottostare, in molti casi, alla regola più pragmatica e antica del “tengo famiglia”. Come nel caso di Gianni Puglisi, presidente della commissione nazionale Unesco, che prima aveva fatto presente all'ex governatore Totò Cuffaro il rischio della cancellazione della Valle dalla World Heritage List dell'Unesco in caso di costruzione del rigassificatore, per poi, con un clamoroso voltafaccia, dichiarare in un'intervista su un quotidiano siciliano che “grazie a Dio” questo pericolo non esiste. Uno che, invece, di voltafaccia non ne ha fatto è il prof. Bartolomeo Romano, presidente del Polo universitario agrigentino, da me personalmente invitato a sottoscrivere l'appello di alcuni intellettuali e studiosi, primi firmatari Dacia Maraini e Rita Borsellino, per salvare la Valle: ha opposto un NO netto, punto e basta! A proposito di classe intellettuale dormiente, ho trovato interessante la proposta dello scrittore palermitano, Michele Perriera, di formare un comitato di “salute culturale” per svegliare la sopita coscienza civile dei suoi concittadini e guidare una profonda volontà di rinascita di Palermo. Ad Agrigento un simile comitato “in nuce” c'è già. Mi riferisco al lodevole attivismo di Amedeo Bruccoleri che sta trasformando la sua libreria “Capalunga” in un centro di promozione sociale oltre che culturale. C'è urgente bisogno di chi stimoli un'azione forte che svegli la mentalità un po' “babbasuna” degli agrigentini e la libreria “Capalunga” sta assolvendo benissimo a questo compito. Per fare solo qualche esempio, la libreria , presentando ultimamente i libri di Marco Travaglio e Lirio Abbate, ha innescato un vivace dibattito, nel pubblico presente, sui problemi di mafia e di “caste privilegiate”.
Ecco: credo che sia un lodevole esempio da seguire anche in altre realtà siciliane. Le librerie come luoghi di riunione di scrittori e intellettuali che parlino sì di letteratura ma che, nel contempo, facciano da “bussola di orientamento”. Altro che silenzio, abbiamo bisogno della rabbia degli intellettuali.
Gaetano Gaziano
tanogaziano@yahoo.it Continua a leggere...

venerdì 17 ottobre 2008

Troppo cemento: SOS da Lampedusa


(Questo mio articolo è stato pubblicato da "La Repubblica" del 16 ottobre pagine regionali siciliane)

Le notizie apparse sulle pagine regionali di Repubblica dell'11 e 12 ottobre sul pericolo che Lampedusa corre di una cementificazione selvaggia pongono finalmente l'attenzione su un fenomeno molto esteso, radicato e preoccupante che ormai da molti anni attanaglia l'isola e che l'emergenza immigrazione ha sempre lasciato in secondo piano. Non c'è dubbio che l'isola di Lampedusa con le sue bellezze naturali e paesaggistiche eccezionali ha attirato un sempre crescente flusso di turisti e ciò ha spinto gli isolani a costruire molto e spesso in modo disordinato, anche perché ancora oggi manca un piano regolatore generale e il vecchio piano di fabbricazione è spesso disatteso. Il disordine urbanistico è facilmente leggibile all'interno del paese e la speculazione ha aggredito, negli anni, anche le coste e perfino le zone più interne dell'isola. Il piano paesistico, che nel 2000 fu approvato nella gran parte delle isole minori, a Lampedusa fu respinto, mentre il piano regolatore generale, già pronto da tempo, viene tenuto incredibilmente chiuso in un cassetto.
Oggi si continua a costruire molto con o senza licenza e con una densità talmente alta da non prevedere ad esempio le necessarie infrastrutture come strade, parcheggi e verde pubblico che rendono gradevole esteticamente e vivibile un centro abitato.
Lo sgretolamento degli storici Sette Palazzi fatti costruire dal governatore borbonico Sanvisente, all'inizio della colonizzazione (1843), sono la metafora di un degrado che caratterizza Lampedusa ben descritto sempre su Repubblica dall'inchiesta di Giampaolo Visetti che, squarciando il velo di una retorica ormai stucchevole che imporrebbe che chi viene a Lampedusa si concentri solo sulle bellezze paesaggistiche ignorando tutto il resto, descrive l'isola come “reduce da un bombardamento” per le strade e i marciapiedi sconnessi, per i muretti che crollano, eccetera.
Così, mentre a Pantelleria si tutela il territorio e si continua la proficua campagna di scavi ricca di sempre nuovi ritrovamenti, mentre Lipari salvata da Italia Nostra dagli scempi edilizi degli anni Settanta e Ottanta si fregia di essere sito Unesco, Lampedusa già in parte compromessa rischia oggi di restare sommersa da una colata di cemento che la deturperà per sempre, defraudando le future generazioni.
Ciò che davvero impensierisce è la volontà manifestata dall'attuale amministrazione, alle prese con un bilancio dissestato per spese dissennate e inutili consulenze, di svendere quel che rimane del territorio come se fosse proprietà privata e non un bene collettivo da tutelare e tramandare.
Va in questa direzione il regalo fatto a una società privata di migliaia di metri quadrati di suolo comunale pregiato in zona Cala Madonna ceduto, quale relitto, per un piatto di lenticchie; così come l'avere autorizzato la costruzione di un intero complesso residenziale a Cala Palme in sostituzione dei capannoni dismessi di quell'industria ittica conserviera che ha rappresentato l'economia portante dell'isola per circa 40 anni. Per non parlare di ciò che a Lampedusa sembra essere diventato uno sport molto praticato come quello di impossessarsi di terreno demaniale con l'escamotage di fittizie usucapioni, compiendo un vero esproprio ai danni della collettività. Il progetto di cementificare la zona quasi intatta di Cala Pisana e di appesantire con nuove cubature la splendida Cala Creta, così come la minaccia che incombe anche su Linosa rimasta finora intatta e fuori dalle speculazioni grazie ai Linosani attente sentinelle del proprio territorio, va inquadrato in questo contesto davvero preoccupante e si spera che venga stoppato grazie all'attenzione dei media e all'intervento di associazioni ambientaliste quali Legambiente che a Lampedusa gestisce la riserva naturale dell'isola dei Conigli.
C'è davvero di che indignarsi e sperare che anche gli abitanti delle isole Pelagie, in uno scatto di orgoglio, si oppongano allo scempio del loro territorio che è pubblicizzato come un sogno ma che può diventare un incubo.
Caterina Busetta, Lampedusa Continua a leggere...

domenica 12 ottobre 2008

I molti problemi dell'immigrazione clandestina


“Me ne andavo una mattina a spigolare, quando vidi una barca in mezzo al mare...”.
Cento cinquant'anni dopo gli scenari politici sono molto cambiati per l'Italia e per l'Europa che assiste impotente all'esodo di migliaia di persone che fuggono dalle guerre, dalle carestie, dalle persecuzioni, su barconi stracarichi di uomini, donne e bambini che denuncia il dramma che si sta consumando sulle sponde del Mediterraneo tra l'Africa e l'Europa.
Me ne andavo in barca una mattina, appunto a Lampedusa, dopo alcuni giorni di noioso scirocco, contenta finalmente per quel mare cristallino. Appena all'imboccatura del porto, si materializza una barca in legno di circa 10 metri, con un carico di 20 uomini africani, con addosso i salvagenti, che anziché imboccare il porto si dirigono verso cala Francese.
Li seguo con lo sguardo, mentre passano sotto la porta dell'accoglienza dello scultore Paladino, e penso che, al contrario di altri, loro fortunatamente ce l'hanno fatta. Mia nipote Laura Busetta, con eccezionale tempismo, li fotografa proprio sotto la porta (foto che meriterebbe il premio Pulitzer per la fotografia).
Mi chiedo quanti arrivino così alla spicciolata eludendo i controlli! Che siano tanti lo si vede dai molti indumenti sparsi qua e là sugli scogli un po' per tutta l'isola diventata una zattera di salvataggio per questi disperati. Giorno dopo giorno, a Lampedusa, si succedono gli sbarchi, in un alternarsi di grandi e piccole imbarcazioni più o meno fatiscenti. Ora scortate dalle forze dell'ordine ora arrivati in tutti i luoghi possibili di approdo e a volte anche in luoghi impervi come le coste alte e rocciose di ponente. Ciò è quanto la cronaca di tutti i giorni ci consegna: un susseguirsi incalzante di sbarchi che, se non fosse per la drammaticità che sottendono, avrebbero oggi il sapore del tran-tran e della routine.
Neanche l'accordo che Berlusconi ha siglato con Gheddafi nell' ultimo scorcio di agosto ha finora fermato il traffico immondo di mercanti di uomini che in questo viaggio della speranza rischiano ogni giorno la propria vita. Dopo circa dieci anni di sbarchi massicci e sistematici che hanno fatto ondivagare Lampedusa tra pietà e rabbia, tra la tentazione di sfruttare anche questo come un business e il timore di vedere crollare il turismo, un nuovo problema comincia a materializzarsi ed è quello del pericolo sanitario che l'arrivo dei clandestini porta con sé. L'allarme sanitario è stato lanciato il 21 agosto dagli scienziati e studiosi riuniti ad Erice che, appunto, hanno sottolineato che la vera emergenza provocata dall'immigrazione clandestina è quella sanitaria. Pertanto, più che prendere le loro impronte digitali, bisognerebbe pensare ad una profilassi sanitaria. Quasi a conferma di quanto detto dagli studiosi di Erice, sono arrivate notizie allarmanti di casi di scabbia, verificatisi nel centro di Sciacca, che hanno destato grande allarme presso la popolazione del luogo. Ma chi oggi si trova a Sciacca proviene da Lampedusa, perciò viene spontaneo chiedersi se a Lampedusa non si siano verificati casi simili o se semplicemente non se ne viene a conoscenza magari per non allarmare la popolazione e il turista.
Vero è però che a Lampedusa son presenti associazioni ed ong come Medicenes sans frontieres che vigilano sulla situazione sanitaria.
La scabbia provocata da un parassita (un acaro invisibile ad occhio nudo che scava cunicoli sotto la pelle dove depone le sue uova) ha come sintomo il prurito, ma anche lesioni, papule e vescicole. La scabbia, presente in Italia fino a circa 50 anni fa, è legata a situazioni di povertà e scarsa igiene che fortunatamente in Italia non esistono più ma che in Africa sono presenti. Altro pericolo possibile è costituito dalla tubercolosi, una la malattia ben più grave, anch'essa debellata in Europa ma presente in Africa dove ha assunto caratteristiche più virulente e difficili da contrastare anche con gli antibiotici di nuova generazione. Molti casi di tubercolosi sono stati diagnosticati in Sicilia presso extra-comunitari di Ragusa. L'immigrazione clandestina, considerata tra le 70 emergenze planetarie (un'altra è quella climatica), merita maggiore attenzione e dovrebbe partire proprio da Lampedusa ciò che il virologo Bonaguro, sempre ad Erice, ha auspicato: che venga attuato uno screening praticabile con un semplice prelievo di sangue. Al di là perciò dei motivi di sicurezza che pure esistono, ciò che sicuramente dovrà essere in futuro maggiormente attenzionato è il problema sanitario.
Caterina Busetta
cbusetta@yahoo.it Continua a leggere...

martedì 7 ottobre 2008

L'economista Mario Centorrino dice NO al rigassificatore a ridosso della Valle dei Templi di Agrigento


La Valle dei Templi: risorsa da “vendere” o da preservare?
di Mario Centorrino
C’è, da tempo, una parola d’ordine cuffaro-lombardista che, evocata, solleva furori di sicilianismo d’antan: vogliamo essere ripagati per i danni ambientali prodotti dagli impianti di raffinazione petrolifera localizzati nella nostra regione. Una parola d’ordine rilanciata nel dibattito sul federalismo o in risposta a quella che viene ritenuta una continua gogna mediatica per la Sicilia, organizzata da ben individuabili gruppi affaristici o, in ultimo, di fronte a difficoltà di bilancio oggettivamente non facili da superare.
La parola d’ordine è di facile percezione; si riferisce a fenomeni incontestabili, solletica vittimismi e una radicata forma di avversione allo Stato. Certo, pochi ricordano che l’insediamento dell’industria petrolifera in Sicilia fu salutato da grandi entusiasmi. Nella speranza di una sua ulteriore diversificazione produttiva, nella certezza di una occupazione specializzata, con l’orgoglio di poter finalmente contare su una classe operaia libera da vincoli clientelari. Senza alcun dubbio, oggi, possiamo parlare di scelte localizzative irrazionali, di una diversificazione mancata, di esternalità negative superiori in qualche caso agli stessi vantaggi occupazionali.
Ora, se il nuovo modello di sviluppo prescelto per la Sicilia, come si sostiene, dovesse essere basato prevalentemente sull’economia del turismo la compatibilità del modello imporrebbe forme di complementarietà basate solo su un’industria leggera, un forte rispetto ambientale, un’agricoltura funzionale.
Parole d’ordine cuffaro-lombardista e modello turistico appaiono però in netta contraddizione intanto con un’altra parola d’ordine, questa propria del centro-destra ma con convinti proseliti ancora nel centro-sinistra. Basta con il partito del no alle infrastrutture ed alle iniziative di crescita in nome di valori ambientali talvolta sovrastimati. E così all’insegna di questa seconda parola d’ordine, si va avanti sulla strada dei termovalorizzatori, non si mantiene una linea precisa sulle trivellazione in Val di Noto affidandosi alle sentenze del TAR, si autorizza la costruzione di un rigassificatore a Porto Empedocle, ad appena cinque chilometri in linea d’aria dalla mitica Valle dei Templi.
Intendiamoci. Sappiamo bene di trattare una materia delicata nella quale non esistono verità assolute. Bloccare i termovalorizzatori, in assenza di altri interventi, significa riprodurre in Sicilia i drammi della Campania. Ripensare i permessi sulle trivellazioni probabilmente sottoporrà la Regione ad un contenzioso con altissimi costi. Il rigassificatore a Porto Empedocle avrà già suscitato forti aspettative di lavoro in un’area che non riesce ancora a decollare sotto il profilo turistico in termini di presenze e di filiera virtuosa tra settori coinvolti.
La complessità della questione non impedisce però di mettere in rilievo fatti incontrovertibili. La Sicilia, in questo momento, è oggetto di una domanda turistica che trova una motivazione soprattutto paesaggistica e culturale. Ecco perché il rigassificatore di Porto Empedocle appare una scelta infelice: annulla, infatti, valori ambientalistici e culturali. Scelta ancor più discutibile se si pensa ad una possibile ed auspicabile opzione alternativa: la sua costruzione off-shore, a distanza cioè dalla costa, cosi come è stato fatto per un analogo impianto a Rovigo.
Alle volte, in Sicilia, sembra di trovarsi di fronte a veri e propri stati di schizofrenia. Richiediamo risarcimenti per danni al territorio prodotti da industrie pesanti, dimenticando che altre regioni e territori potrebbero anch’essi pretenderli, a buon diritto: dalla Lombardia alla Sardegna. Ci sforziamo di creare al tempo stesso un’immagine di bellezza (ricordate il famoso “tutto il resto è ombra”) che attiri e continui ad attirare flussi turistici superando svantaggi competitivi e difficoltà di trasporto. Poi, improvvisamente, sulla base di processi decisionali caratterizzati da opacità e che fanno intravedere azioni di lobbyes con interessi privati conliggenti con il rispetto del bene pubblico, ci adattiamo a soluzioni a prima vista, almeno, totalmente incoerenti rispetto alla conservazione ed alla valorizzazione delle risorse più preziose, agli asset privilegiati, per parlare in termini aziendali, da utilizzare nell’attirare domanda turistica.
Paradossalmente, un vantaggio (un territorio cioè non saturo di inquinamento) diventa un’occasione per una redistribuzione di esternalità negative. In altre zone dell’Italia e della stessa Sicilia, la realizzazione di un rigassificatore farebbe saltare oltre soglia parametri di controllo ambientale; a Porto Empedocle, forse, porterà solo questi parametri al valore massimo consentito. Quasi la Sicilia avesse ancora “ambiente” da “vendere”, malgrado il fiorente mercato dell’abusivismo, che sembra avere “sparecchiato” ogni disponibilità.
Insistiamo: non è un problema del partito del no che occorre si trasformi in partito del si. E’ il problema di una generazione che deve decidere cosa, in termini di qualità della vita, vuole lasciare ai figli. Il rigassificatore a Porto Empedocle, al di là delle suggestioni camilleriane, ci fa venire in mente un aforisma di Gesualdo Bufalino: non è il sonno ma l’insonnia della ragione che genera mostri.
Mario Centorrino
°°°°
Ospitiamo con piacere sul nostro blog l'articolo dell'economista Mario Centorrino(foto in alto) apparso su "La Repubblica" del 1° ottobre con cui prende posizione, dopo il NO del dell'economista Pietro Busetta, contro il rigassificatore a ridosso della Valle dei Templi di Agrigento Continua a leggere...

venerdì 3 ottobre 2008

La "lapa" canterina: muoiono le tradizioni e avanza il degrado


Lampedusa, domenica 21 settembre. Un'allegra musica mi sveglia alle prime luci dell'alba. Ci siamo, penso, deve essere la banda musicale che dà inizio ai festeggiamenti della Madonna di Porto Salvo. Mi affaccio al balcone e, con grande sorpresa e stupore, mi accorgo che non è stata la banda a svegliarmi ma un'improvvisata ensemble fatta di tre elementi: tromba, trombone e tastiera, che su una moto ape, la mitica “lapa”, e con l'ausilio di enormi casse amplificatrici diffonde, assieme a qualche marcetta tipica della nostra banda, un repertorio assordante che spazia dal liscio alle canzoni classiche più conosciute. Una “lapa” canterina, insomma.
Così si uccidono le tradizioni, penso, e tra le tradizioni quella bandistica a Lampedusa è stata tra le più radicate e durature.
Ricordo che da bambina, quindi parlo di circa 50 anni fa, ero letteralmente affascinata dal trombone di ottone lucidissimo di mio zio Lello, che con molto orgoglio vedevo suonare per la festa della Madonna. La banda, anno dopo anno, ha aperto sempre i festeggiamenti, suonando per le vie del paese all'alba del 21 e 22 settembre festa appunto della nostra patrona, che coincide con lo sbarco dei primi coloni sulla nostra isola al seguito dell'ufficiale di Marina Bernardo Maria Sanvisente, che all'ordine di Ferdinando II di Borbone, colonizzò l'isola proprio il 22 settembre 1843.
I festeggiamenti per la Madonna di Porto Salvo quindi hanno avuto sempre anche una valenza celebrativa della nostra storia e delle nostre radici. Non nego quindi che, da lampedusana, ho trasecolato alla vista della “lapa” canterina in sostituzione della banda musicale che aveva il potere di svegliarmi allegramente, mentre questa novità ha suscitato in me solo un sentimento indispettito di fastidio. Il paradosso è che a Lampedusa di bande musicali ce ne sono ben due, che si alternano ogni anno per mantenere viva questa tradizione.
Quest'anno, in linea con la disamministrazione generale della cosa pubblica, non si sono a quanto pare trovati i finanziamenti pur minimi necessari a mantenere questa tradizione.
L'invenzione della “lapa” canterina merita però un'altra riflessione che sottolinea la capacità tipica dei lampedusani di reinventarsi, di cambiare pelle senza troppi rimpianti o sentimentalismi.
La breve storia di Lampedusa che va dalla fondazione a colonia ad oggi è segnata da continui cambiamenti e trasformazioni. I primi coloni venuti al seguito del Sanvisente sono contadini ma poi, alla scoperta del passaggio delle sardelle, diventano pescatori per poi reinventarsi, con la costruzione dell'aeroporto, operatori turistici. Oggi ci troviamo in un momento di transizione: il turismo scema, per motivi complessi che vanno dalla concorrenza alla crisi economica globale e così la speranza di allargare la stagione turistica sembra affievolirsi e ci si chiede cosa fare.
C'è un unico modo per tentare di mantenere Lampedusa sul mercato ed è quello di riqualificarla. Ma l'attuale amministrazione non sembra avvertire questa esigenza, indaffarata com'è a difendere o acquisire privilegi e a svendere quel che è rimasto del nostro territorio favorendo le speculazioni grandi e piccole che nel giro di qualche anno lo snatureranno del tutto.
Se solo, senza andare lontano, ci raffrontiamo alle altre isole siciliane, ci accorgiamo che ognuna ha qualcosa che la caratterizza. Pantelleria, ad esempio, ha i sesi (reperti archeologici) e i dammusi, le isole Eolie, difese strenuamente negli anni settanta e ottanta da Italia Nostra, sono state salvaguardate dagli scempi edilizi e oggi Lipari è inserita tra i siti Unesco. E l'elenco potrebbe continuare. Lampedusa invece non ha nemmeno saputo conservare quella pur minima identità datale dalla colonizzazione borbonica. Lo sgretolamento dei Sette Palazzi, che i bombardamenti del '43 avevano risparmiato, diventa la metafora di un degrado che costituisce la caratteristica visibile di Lampedusa, cresciuta per fetazioni senza regole.
La rete fognaria tracimante può attendere, la rete idrica insufficiente può attendere, il museo incompleto e ancora chiuso può attendere, il traffico caotico e inquinante può restare, in compenso si sono favorite le usucapioni fittizie e oggi ci si permette il lusso di regalare migliaia di metri quadri di suolo comunale come relitti. C'è davvero di che indignarsi, ma ciò presuppone una consapevolezza che non c'è, ma che potrebbe in uno scatto d'orgoglio finalmente arrivare ridimensionando i furbetti del quartierino accomunati in un “O'scià” che alla luce degli ultimi avvenimenti appare stucchevole e inadatto alle mefitiche esalazioni che stanno avvelenando l'aria.
Caterina Busetta
cbusetta@yahoo.it Continua a leggere...