sabato 24 dicembre 2011

Buon Natale e Felice Anno Nuovo

Desideriamo formulare ai lettori di questo blog gli auguri più sinceri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo.
Siamo certi che i nostri lettori, soprattutto quelli che tornano a visitarci, condividono con noi gli stessi valori, quelli cioé che fanno riferimento alla tutela del nostro patrimonio storico, culturale e paesaggistico.
Ciao a tutti e buone feste,
Caterina Busetta e Gaetano Gaziano. Continua a leggere...

sabato 10 dicembre 2011

LA VERITA' DI DON GIOVANNI

"LA VERITA' DI DON GIOVANNI"
Peggio di così non mi potevano trattare il signor Mozart e il signor Da Ponte. Dipinto come un mariolo e sprofondato all’inferno, con tutti i vestiti.
La mia unica preoccupazione sarebbe stata, per loro, quella di “farmi” le belle damine del mio tempo.
Di infoltire il “catalogo”, che teneva il mio servo, quel birbante di Leporello.
E chi lo nega?
Solo che quella, che era per me una scelta esistenziale, sarebbe stata, per gli “illustrissimi” autori, una sconveniente e deplorevole condotta, da condannare tout court.
Ma i veri immorali, credetemi, erano loro: pieni di tic, di complessi e di condizionamenti.
Il signor Amadeus, per esempio, soffriva di un complesso di Edipo grande quanto una casa, che si portava appresso dalla nascita.
Per la verità, non era tutta colpa sua: quel suo odioso padre, Leopold, se lo era trascinato dietro, appena bambino, a esibirsi, assieme alla sorellina Nannarel, nelle più importanti corti europee, come un fenomeno da baraccone; quello lì, per me, avrebbero dovuto impiccarlo per sevizie reiterate all’infanzia. Però lui, Amadeus, non riuscì mai a scrollarsi di dosso (e ne aveva tutte le qualità) quella terribile figura paterna.
A tal punto che la proietta nel personaggio del Commendatore, terribile vendicatore di quel libertino di don Giovanni, che, poi, sarei io.
In effetti, sono stato un libertino.
E me ne vanto!
Ma nell’accezione più nobile del termine.
Io, infatti, sposai in toto la filosofia del libertinismo, che vuol dire insofferenza a tutte le regole imposte dall’alto.
Libertà totalizzante, dunque. Prima tra tutte, quella in campo sessuale. Sono stato il primo autentico predicatore del libero amore, anticipando i tempi di almeno due secoli. E ne sono stato un vero e convinto attuatore e ambasciatore.
La mia fama ha travalicato quella dello stesso Mozart e del suo librettista. Quest’ultimo, poi, Lorenzo Da Ponte, ve lo raccomando! Lui, però, non era un complessato come Mozart.
Peggio: era un furbo! Professava il suo moralismo bigotto, da cattolico convertito qual era.
Doveva dimostrare “all’esterno” la sua totale adesione alla religione cattolica, a cui era approdato per opportunismo.
Quando Mozart gli chiese un libretto da musicare, non gli parve vero. Tirò fuori dal cassetto il dramma “El burlador de Sevilla” del signor Tirso De Molina, intriso dei più beceri principi gesuitici della Controriforma, e ha creato, con Mozart, questo grande capolavoro del “Don Giovanni”.
E chiamalo capolavoro! Mi hanno dipinto come un mostro. Un fatuo bellimbusto, ossessionato esclusivamente dal sesso.
Il cavaliere Giacomo Casanova, con me il più degno rappresentante del libertinismo in senso assoluto, che era presente alla prima di Praga, si alzò indignato e se ne andò sbattendo la porta.
Lasciate invece che sia io, Don Giovanni, a raccontarvi come sono andate in effetti i fatti, per averli vissuti in prima persona.
Occorre cominciare dall’inizio della storia. Siamo al primo atto dell’opera. Io me ne sto a corteggiare (ricordate?) la bella Zerlina, procace e avvenente contadinotta, promessa sposa a quello zotico di Masetto.
Io le propongo di seguirmi nel mio casino di campagna, sussurrando: “Là ci darem la mano, là mi dirai di sì”.
Lei esita. Oppone una debole resistenza: “Vorrei e non vorrei, mi trema un poco il cor”.
Insisto: “Vieni mio bel diletto. Io cangerò tua sorte”.
Alla fine cede e, mano nella mano, ci avviamo al nido d’amore: “Andiam, andiam mio bene a ristorar le pene d’ un innocente amor”.
A questo punto, secondo gli “illustrissimi” autori, interviene Donna Elvira, una mia vecchia conquista sedotta e abbandonata (come tutte le altre del resto), che interrompe bruscamente il nostro idillio e manda all’aria l’ultima mia avventura. Quindi sarei andato in bianco.
Sciocchezze!
Niente di più falso. A me, se permettete a Don Giovanni, una cosa simile non è mai successa.
Ed ecco il seguito. Quello vero: Zerlina e io, presi da focosa passione, ci avviamo nel mio casino di campagna, e lì trascorriamo dei momenti indimenticabili.
Che notte, ragazzi!
Il confortevole casino è perennemente attrezzato per le mie improvvise incursioni galanti. Non manca mai niente alla bisogna. Soprattutto il vino. C’è sempre una buona scorta di “eccellente marzimino”. Il vino che io, a detta degli “illustrissimi” autori, avrei dovuto offrire, nel secondo atto, al Commendatore da me invitato a cena.
Ma vi sembro proprio il tipo da sprecare un vino così nobile, come il marzimino, per un “convitato di pietra”?
Vi dico io l’uso che ne ho fatto.
Quattro bottiglie ce ne siamo scolate, Zerlinuccia e io, in quella notte da sballo, tra un amplesso e l’altro.
Vino e amore vanno straordinariamente a braccetto, credetemi. Una sola espressione vera mi hanno messo in bocca gli “illustrissimi" autori: è quando, nel secondo atto, inneggio: “Vivan le femmine, viva il buon vino, sostegno e gloria d’ umanità”. In ciò almeno non si sbagliarono.
Questa, amici miei, è in conclusione la vera ed autentica versione dei fatti.
Parola di Don Giovanni!
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E questo è il quinto racconto tratto dal mio libro "Il Bacchino ubriaco e altre storie" edito da Excogita Milano.
Parla della vicenda del Don Giovanni, da me rivisitata.
Gaetano Gaziano
tanogaziano@yahoo.it.
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mercoledì 16 novembre 2011

Rigassificatore: Appello al Presidente Monti per salvare la Valle dei Templi

Signor Presidente,
l'art. 9 della Costituzione Italiana sancisce il principio della tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione.
L'art. 32 tutela il diritto alla salute di tutti i cittadini.
In questa ottica e con questo spirito abbiamo contrastato il progetto di costruire un rigassificastore da 8 miliardi di mc. (definito dalla normativa Seveso “a rischio di incidente rilevante”) a Porto Empedocle, sotto la Valle dei Templi di Agrigento, patrimonio Unesco, con gli strumenti della democrazia e del diritto.
Ad Agrigento è stato indetto, infatti, un referendum popolare perché il corpo elettorale si pronunciasse sull'opportunità di realizzare il predetto insediamento industriale in prossimità di un sito archeologico di grande valenza storico-culturale.
L'esito del referendum è stato del 95% di “No” contro il 5% di “Sì” e tuttavia non è servito a fermare la macchina burocratica dell'autorizzazione dell'impianto.
Abbiamo fatto ricorso allora agli strumenti dell'ordinamento giuridico italiano, rivolgendoci al Tar del Lazio, che, con sentenza del 14.12.2010, ha annullato il decreto autorizzativo della Regione Sicilia.
Il Consiglio di Stato, con decisione del 19.7.2011, ha ribaltato la sentenza del Tar del Lazio, dando il via libera alla costruzione dell'impianto gasiero, confinante con il parco archeologico della Valle dei Templi di Agrigento.
Signor Presidente, ad oggi risultiamo perdenti, ma con la costruzione dell'impianto risulteranno perdenti, riteniamo, tutti gli Italiani di fronte al mondo della cultura.
Ci è stato detto che sono state rispettate tutte le procedure ed espressi tutti i pareri previsti per legge. E' vero. Ma le istituzioni sono fatte di uomini e, a volte, gli uomini sbagliano. In buona fede, ma sbagliano.
Come non considerare, infatti, un macroscopico errore umano il parere espresso dal Sovrintendente ai BB.CC. di Agrigento con nota del 3.3. 2006 n. 2083, con la quale, dopo avere premesso che “il tracciato del gasdotto di collegamento, nella parte iniziale, attraversa ambiti di collegamento sottoposti a vincolo paesaggistico (D.A. 29 luglio 1993 n. 6458- Zona “Caos”) e, lungo il corso del tracciato, ricade in prossimità di aree di interesse archeologico e di aree boscate ed attraversa infine corsi d'acqua tutelati”, alla fine rilascia il nulla osta, pur se accompagnato da improbabili prescrizioni di coloriture e mascherature.
Su quel nulla osta si fondano tutti pareri successivi, compreso quello favorevole del Ministero dei BB.CC e del Ministero dell'Ambiente.
Com'è certamente sbagliato avere previsto la costruzione di un rigassificatore da 8 miliardi di mc. alla distanza di appena 800 metri dal centro abitato di Porto Empedocle, mentre il più grande esperto internazionale di sicurezza e antiterrorismo, il Prof. Richard Clarke, consulente di tre presidenti americani, consiglia di costruire i rigassificatori, il più distante possibile dai centri abitati.
E infelice è stata anche la scelta di progettare l'impianto gasiero sotto la Valle dei Templi di Agrigento, patrimonio Unesco. E' previsto addirittura che che il gasdotto di collegamento attraversi la buffer zone (zona di rispetto) Unesco del parco archeologico di Agrigento
Ci è stato detto pure che il rigassifgicatore di Porto Empedocle risulta strategico per le esigenze energetiche del Paese. Non è vero!
Dopo la scoperta dello shale gas (gas non convenzionale), c' è un enorme surplus di gas nel mondo.
In un'attenta analisi del 27 marzo 2011, il Corriere della Sera ci ha informato che l'Italia si trova nelle condizioni di sfruttare per i prossimi anni il gas già prenotato con contratti del tipo take or pay (prendi o paga), cioè sarà obbligata a pagare forniture di miliardi di euro, anche se non dovesse ritirare alcuni stock di gas già prenotati, per cui, sempre secondo il quotidiano di via Solferino, è stato chiesto alla russa Gazprom di diluire questi impegni in un arco di 25 o più anni per non pagare a vuoto le forniture.
D'altra parte, si sa che il rigassificatore di Panigaglia lavora molto al di sotto delle sue potenzialità e che dal 2009 è entrato in funzione il rigassificatore di Rovigo (questo è off-shore mentre quello di Porto Empedocle è stato incredibilmente progettato alla distanza di 800 m. dal centro abitato di questa cittadina di 15000 abitanti), e che tanti altri rigassificatori sono stati progettati lungo le coste italiane, lontani comunque da centri abitati e da siti archeologici o paesaggistici.
Riteniamo, pertanto, che la costruzione del rigassificatore di Porto Empedocle si può ancora evitare, anche perché Enel è una società a partecipazione pubblica e come tale non dovrebbe perseguire la sola strategia del profitto, mentre dovrebbe avere a cuore il desiderio di evitare la cattiva immagine che deriverebbe, ne siamo certi, a noi Italiani tutti di fronte al mondo intero per la realizzazione del predetto impianto gasiero “a rischio di incidente rilevante”, al confine della Valle dei Templi di Agrigento e a ridosso di un centro abitato.
E' per questi motivi, Signor Presidente, che ci rivolgiamo a Lei quale ultima istanza per evitare tutto ciò.
Nell'attesa e nella speranza di un Suo autorevole intervento, molto cordialmente La salutiamo e La ringraziamo.
Agrigento, 16 novembre 2011
Gaetano Gaziano
Presidente associazione “Salviamo la Valle dei Templi di Agrigento” .
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giovedì 8 settembre 2011

Rigassificatore di Porto Empedocle: contrario il presidente della Camera di Commercio di Agrigento

Vittorio Messina, il giovane e coraggioso presidente della Camera di Commercio di Agrigento, si dichiara contrario al rigassificatore di 8 miliardi di mc.a Porto Empedocle sotto la Valle dei Templi di Agrigento e ritiene giusto ricorrere alla Corte Europea dei Diritti Umani (Cedu) di Strasburgo per blocccare il progetto.
Riportiamo integralmente l'articolo di Vittorio Messina pubblicato sul giornale on line www.perlacitta.it.

"In vista della prossima seduta del Consiglio della Camera di commercio di Agrigento, dedicata al piano pluriennale 2011/2016, il presidente Vittorio Messina ,con una nota stampa, anticipa alcune scelte di fondo che caratterizzerano lo strumento di pianificazione dell’Ente, definendo le coordinate lungo le quali camminare nei prossimi anni per sostenere la competitività delle aziende agrigentine e la crescita complessiva del territorio.

La congiuntura economica che stiamo vivendo, riassunta nell’ultimo Report presentato prima dell’estate 2011, impone alla Camera di Commercio di Agrigento una programmazione degli obiettivi che intende perseguire nel prossimo quinquennio molto da un lato molto attenta ai dati reali che costituiscono indubbie indicazioni di merito e al metodo con cui approcciare il problema dello sviluppo economico che ha assunto una configurazione nuova.

L’elemento più visibile di questa novità è che la descrizione scientifica del fenomeno dello sviluppo non è più condotta solo lungo le linee dei settori produttivi, ma integra significativamente anche la dinamica territoriale, aprendo immediatamente il problema di due importanti cinghie di trasmissione: le tecnologie e le istituzioni locali.

Inoltre i momento di difficoltà non può non rafforzare quell’idea di collaborazione tra enti e associazioni operanti a vario titolo nel territorio che da anni l’amministrazione della Camera di commercio porta avanti.

Non a caso alcune comuni attività intraprese , hanno consentito di ottenere risultati significativi ed economie di gestione importanti, mostrando come la strada lungo la quale proseguire sia quella della condivisione progettuale.

Trasferendo questo tipo di approccio al territorio si osserva come le risorse di fiducia e di conoscenza rappresentano le vere fonti dei vantaggi competitivi territoriali in contesti di crescente concorrenzialità , quali quelli attuali.

Per altro, l’attenzione alla dotazione storica, unica e inimitabile, di risorse e specificità locali come fonte dei vantaggi competitivi pone il problema del bilanciamento tra localismo e globalismo , tra vantaggi competitivi locali e concorrenza globale.

La scommessa da giocare, per creare condizioni reali di sviluppo, ha una posta molto alta, è ambiziosa e va centrata su un protagonismo degli attori sociali che affondi le sue radici in un rinnovato sistema istituzionale.

La complessità di un percorso come quello sopra delineato richiede la previsione di precisi passaggi dotati di operatività per salvaguardare le risorse potenziali e per garantire la loro valorizzazione e per promuoverne la diversificazione.

Passaggi che richiedono il rafforzamento della capacità di interloquire tra i diversi soggetti protagonisti del territorio, nonché la capacità di orientare e governare le scelte in un’ottica di superamento di concetti localistici che attualmente non sono più in grado di garantire un ambiente sufficientemente competitivo per le imprese.

Consapevoli delle potenzialità intellettuali e culturali del nostro territorio, occorre puntare con determinazione sulla qualità dei saperi e su un progetto culturale tecnologicamente avanzato. Iniziative come i piani strategici, i patti territoriali, gli strumenti più sofisticati che puntano sullo sviluppo dal basso, i parchi naturali, i parchi archeologici, la diversificazione produttiva favorita dall’ente pubblico in ogni settore, hanno messo le basi per un processo che va ulteriormente potenziato e che deve avere come obiettivo fondamentale uno sviluppo sostenibile.

In questo quadro vanno collocati gli interventi per il completamento della infrastrutturazione del sistema dei trasporti dell’area centro meridionale della Sicilia per l’infrastrutturazione sociale della provincia, per lo sviluppo qualitativo della produzione agricola, per il ridisegno del sistema della promozione turistica e per la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale del territorio.

In questo quadro stride la presenza di un impianto come il rigassificatore di Porto Empedocle, la cui realizzazione abbiamo contrastato non già per posizioni ideologiche ma perché a nostro avviso, a prescindere da tutte le riserve che si possono esprimere in termini di sicurezza, decisamente fuori luogo per la scelta del sito.

La notizia che molti cittadini di Agrigento, con in testa il sindaco Marco Zambuto, stiano preparando un ricorso alla Corte di giustizia europea, che intanto il Fai, che qualche tempo addietro si era schierato a favore dell’impianto oggi si prepara ad una clamorosa retromarcia dichiarando che sarebbe meglio farlo offshore, che anche l’Unesco, per mezzo di Gianni Puglisi che è il suo rappresentante in Italia, fa sapere che sarebbe meglio farlo altrove, confermano la bontà della nostra azione a salvaguardia di un territorio che appartiene al patrimonio dell’umanità ma che è la vera grande ricchezza da preservare, per la città e del suo hinterland.

Le traiettorie dello sviluppo che intendiamo disegnare per questa terra sono incompatibili con un’opera invasiva che snaturerebbe i luoghi, comprometterebbe l’appeal di un sito magico, non porterebbe alcun vantaggio alla nostra comunità.

Proprio perché la provincia di Agrigento ha subito in questi anni un consistente processo di riconversione economica senza avere ancora saputo ridefinire il profilo del proprio futuro, abbiamo ritenuto opportuno evidenziare tutte le nostre perplessità rispetto ad un ipotesi di sviluppo che contempla l’ubicazione di industrie pesanti nel nostro territorio. Scelte che potrebbero compromettere altre strategie finalizzate a mettere a frutto quelle risorse paesaggistiche, culturali e ambientali che molto meglio si conciliano con le spinte vocazionali.

Purtroppo, queste esitazioni determinano un diffuso scetticismo sulla capacità di potere svolgere un ruolo di primo piano nel processo di integrazione europea che sta di fronte al nostro paese.

Ed è per questo che riteniamo che il nostro compito e quello delle Istituzioni locali deve essere indirizzato a ricreare la fiducia, offrendo obiettivi perseguibili e strumenti per realizzarli”.

Dott. Vittorio Messina

Presidente CCIA di Agrigento.
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domenica 28 agosto 2011

"Le rouge et le noir"

«Benvenuto, caro Leonardo! Ti stavamo aspettando».
Stendhal accoglie Sciascia, con un largo sorriso.
«Anch’io sono felice di incontrarla, maestro!».
«Alt! In questo luogo non ci sono né maestri né allievi. Niente maîtres à penser!».
«D’accordo Henri, niente formalismi. Consentimi, comunque, di dirti che sono veramente felice di incontrarti. Era da tempo che aspettavo questo momento. Tu conosci l’ammirazione che ho per te».
«Lo so! Ma, del resto, è abbondantemente ricambiata. Quassù, potremo scambiarci le nostre riflessioni direttamente, lontani dal quel fastidioso rumore di fondo di quella che chiamano “vita terrena”». «Finalmente! Sapessi a cosa si è ridotta la comunicazione laggiù: autentica spazzatura! Nelle librerie, poi, i best sellers sono rappresentati dai libri dei comici di successo. Pochissime sono, ormai, le opere di narrativa che valga la pena di leggere».
«Davvero?».
«Sì, mio caro Henri! E questo è per me un grande dolore. Ma veniamo a noi. Sai, è da tempo che volevo chiederti due o tre cose, anche per liberare il campo da alcune perplessità che avanzano gli studiosi delle tue opere».
«So bene a cosa alludi: ai sospetti, neppure tanto larvati, di egoismo, di spregiudicatezza o, addirittura, di cinismo…».
«Ecco, in non volevo dirlo. Ma, visto che sei tu a parlarne…Per esempio, qualcuno ha visto, nelle tue dichiarazioni di amore sperticate per l’Italia, un atteggiamento di comodo, quasi furbesco, per tenerti buona l’intellighentia milanese, visto che tu arrivavi a Milano come sottotenentino dell’esercito napoleonico. Vero è che scendevate in Italia come esercito di liberazione. Ma qualcuno cominciò a parlare velatamente di nuove truppe di occupazione francesi».
«Mi è facile contestare questi sospetti, mio caro Nanà! (Consentimi di chiamarti come i tuoi amici di Racalmuto). A quel tempo avevo solo diciassette anni. Seguii Bonaparte in Italia, perché mi sembrò l’unica possibilità di viaggiare e di conoscere il vostro meraviglioso paese. E tu sai, del resto, che ben presto mi stancai della vita militare e lasciai l’esercito, per dedicarmi a miei studi sulla storia e sull’arte italiane. E, poi, qualsiasi sospetto di opportunismo dovrebbe essere fugato dal fatto che ho chiesto, a testimonianza dell’amore per Milano, che sulla mia tomba venisse scritto l’epitaffio “Qui giace Arrigho Beyle, milanese”. Quando sei morto, mio caro Nanà, le furbizie non servono più!».
«E’ vero! Ma, d’altre parte, io non avevo alcun dubbio. Dicono, pure, che tu hai sfruttato il fascino, che esercitavi sulle donne, per fare carriera. Che come Julien Sorel, il protagonista di "Le rouge et le noir", avresti tentato di introdurti nella società bene, di acquisirne benemerenze e incarichi, attraverso le tue conquiste galanti, che,per la verità, collezionavi con grande facilità, soprattutto tra le dame dell’aristocrazia».
«Hai ragione! In Julien Sorel c’è molto di autobiografico. Fino a un certo punto, però. E’ vero: come lui avevo un debole per le donne. E chi lo nega? Ma non ho mai utilizzato le mie conquiste galanti come grimaldello per “sfondare” nella società che conta, come sostiene qualcuno. D’altra parte, in Italia non ho mai avuto incarichi ufficiali, né pubblici né privati. Ho sempre lavorato per lo Stato francese, fino al mio ultimo incarico, che è stato quello di console, a Civitavecchia. E, poi, questa fama di seduttore è stata un po’ montata ad arte, a beneficio di certa letteratura pruriginosa. Se consideri, peraltro, che l’unica donna italiana a cui tenevo veramente, la contessina Giulia Ranieri, di cui ho chiesto anche la mano, mi ha opposto un cortese ma netto rifiuto, mi ha dato “coffa” come dite voi siciliani, la leggenda metropolitana di uno Stendhal tombeur de femmes ne esce notevolmente ridimensionata».
«Assolutamente convincente, mio caro Henri! E, ora, levami un’ultima curiosità. Perché hai dato il titolo di Le rouge et le noir al tuo romanzo più famoso? Tu sai bene che sono state date molte interpretazioni al riguardo. Qualcuno ha detto che il titolo ha un riferimento preciso al nero dell’abito talare di Julien Sorel, ex seminarista, e al rosso del sangue, visto che Julien finì ghigliottinato. C’è chi ha sostenuto che hai inteso alludere al contrasto tra i clericali (nero) e i liberali (rosso) del tempo. Chi porta avanti altre teorie ancora. Per favore, vuoi dare la tua versione autentica, per mettere la parola fine a tutte queste diatribe?».
«Io, ovviamente, la mia motivazione la conosco. Ma consentimi di essere un po’ cinico, questa volta sì. Non la rivelerò mai! Ma tu te l’immagini? Se dovessi svelare l’origine del titolo, farei la gioia di un critico letterario per scontentarne almeno altri dieci: meglio lasciarli nelle loro convinzioni. Ma, a proposito di rouge et noir, perché non parlare di un argomento più divertente? Più frivolo, direi. Parliamo di vini! Credo che possiamo dare, vista la nostra condizione diciamo così “spirituale”, un’autorevole opinione sull’eterna querelle se siano più buoni i vini francesi o quelli italiani. Sei d’accordo Nanà?».
«Pienamente d’accordo. Io, al riguardo, ho un’idea ben precisa. Chapeau bas, tanto di cappello, ai vini bianchi francesi, soprattutto allo champagne. Ma, per quanto riguarda i rossi, non credo che esistano vini più buoni di quelli siciliani. Penso sempre, con grande nostalgia, al vino rosso che si produce nella mia amata campagna in contrada “La Noce”, a Racalmuto. Che profumo delicato! Che sapore intenso! Che emozioni, al momento della vendemmia con tutti i ragazzi a fare festa, mentre pigiavamo l’uva a piedi scalzi! E, poi, un anno, successe un fatto bellissimo, che ricordo sempre con piacere».
«Quale?».
«Mentre pigiavamo l’uva, preso dai fumi del mosto, crollai in mezzo al tino. I miei compagni prontamente mi risollevarono, ma, completamente ebbro, ridevo e straparlavo, mentre loro mi sorreggevano per le braccia».
«E cosa dicevi?».
«Fantasticavo, a quanto mi raccontarono dopo, di trovarmi in mezzo a un Baccanale in pieno svolgimento, secondo il rito pagano, che ci aveva spiegato, qualche tempo prima, il nostro vecchio insegnante di latino».
«Interessante! Soprattutto, sotto l’aspetto letterario. Racconta!».
«Io mi trovavo proprio in mezzo al corteo, preceduto dalle Menadi, le vergini che reggevano un enorme fallo di legno, simbolo della fertilità della terra e propiziatore di abbondanti raccolti, che procedeva, ondeggiando, tra la folla acclamante. Seguivano i Satiri, che, con i loro flauti doppi e tamburelli, intonavano suoni, a ritmo sempre più incalzante e frenetico».
«E, tu, che ruolo avevi nel rito?».
«Rappresentavo Dioniso. Cinto di pampini di vite, avanzavo tra la folla, sopra un cocchio trainato da cavalli, distribuendo grappoli di uva nera, mentre le Menadi mescevano vino a profusione alla folla sempre più vociante ed eccitata».
«E come è finita?».
«Come tutti i riti dionisiaci: con il fallo-falò! Ovverosia, con l’incendio dell’enorme simbolo fallico, mentre Dioniso, le Menadi e i Satiri, tutt’intorno, davamo vita a un vorticoso e delirante carosello».
«E tu?».
«Io, a detta dei miei compagni, alla fine del racconto che avevo fatto quasi in trance, completamente madido di sudore e con i vestiti zuppi di mosto, caddi in un sonno profondo e mi risvegliai nella mia casa di campagna, in contrada “La Noce”, dove mi avevano trasportato a braccia, solo due giorni dopo».
«Fantastico argomento per un racconto! Come mai non hai scritto niente, al riguardo?».
«Mi ripromettevo sempre di scriverci qualcosa, ma, poi, per un motivo o per un altro, ho sempre rimandato. Peccato! Chissa che, un giorno, qualche scrittore non prenda spunto da questo episodio, per realizzarci un racconto. Mah! Io me lo auguro. Ecco, in conclusione, perché ritengo il mio “Rosso della Noce” il vino più buono del mondo. Io non bevo molto, credimi, ma basta un goccetto del mio vino a mettermi allegria. A rendermi euforico».
«Tu non sei un estimatore del tuo vino. Di più: ne sei innamorato!».
«E’ vero, non posso negarlo: amo il vino della mia contrada! Che ne dici, mio caro Henri, ci facciamo un goccetto di rosso?».
«Ouì très volontiers, mon cher Nanà!».
Gaetano Gaziano
tanogaziano@yahoo.it
Questo è il mio quarto racconto tratto dalla raccolta "Il Bacchino ubriaco", edita dalla "Excogita" di Milano.
Chi volesse acquistare il libro segua questo link
http://www.bol.it/libri/Bacchino-ubriaco-altre-storie/Gaetano-Gaziano/ea978888972714/
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venerdì 12 agosto 2011

Rigassificatore di Porto Empedocle: nuova interrogazione di Sonia Alfano alla Commissione Europea

Sonia Alfano ha presentato una nuova interrogazione alla Commissione Europea sul rigassificatore di Porto Empedocle. Questo il testo...
“In risposta all’interrogazione E-4831/2010 – scrive l’on. Alfano nella premessa del suo atto ispettivo – la Commissione Europea il 12/10/2010 dichiarava che, con riferimento alla denuncia per presunti aiuti di Stato illegittimi per la costruzione di impianti di rigassificazione in Italia, avrebbe aperto un’indagine e valutato la situazione con attenzione. In data 17 /06/ 2011 la DG Concorrenza inviava una nota ai denuncianti con riferimento al caso CP 81/2009 nella quale comunicava che, avendo ricevuto le necessarie informazioni dall’Italia, non riteneva di dare seguito alla denuncia. Nella nota inviata dalla Commissione si registrano a mio modo di vedere numerosi passaggi per i quali risulta necessario un approfondimento”.

“La Commissione stessa – continua Sonia Alfano – afferma che siamo in presenza di una “garanzia di reddito prevista dalla legislazione italiana” offerta ai terminali di rigassificazione di recente o prossima costruzione. Il dato di fatto è che dunque la Commissione riconosce che siamo in presenza di un aiuto di Stato. D’altra parte tale aiuto, vista la natura dell’impianto e le modalità, non risponde ad alcuna delle eccezioni esistenti nei trattati e nella normativa europea, tale che esso risulti compatibile con il mercato interno”.

“La Commissione precisa “innanzitutto” – aggiunge l’europarlamentare di IdV – che “il provvedimento descritto non è mai stato applicato”. Si ritiene grave che la Commissione tenda a utilizzare prioritariamente questa argomentazione poiché essa sarebbe accettabile nel caso in cui il provvedimento non fosse approvato. Non è ammissibile invece su un atto che dispiega pienamente i suoi effetti e dunque su cui la Commissione ha l’obbligo di intervenire, senza attendere che venga applicato. Appare inammissibile che la Commissione faccia riferimento alle “buone probabilità” che tale aiuto venga considerato legittimo. La Commissione ha il compito di valutare e accertare sulla base della normativa esistente se siamo in presenza di un aiuto di Stato illegittimo o no”.

“Si domanda pertanto alla Commissione Europea – conclude l’on. Alfano – una risposta puntuale per ciascuna delle seguenti domande:

1) in che maniera il fatto che la “garanzia di reddito è volta a coprire una quota degli investimenti in conto capitale per la costruzione dell’impianto” consente di escludere l’illiceità di tali aiuti?

2) Qual è la “capacità di rigassificazione su base nazionale” cui si fa riferimento?

3) Quali sarebbero le “specifiche condizioni” cui sarebbe sottoposta tale “garanzia di reddito”?

4) La Commissione ha l’obbligo di intervenire in caso di provvedimenti efficaci pur se non applicati?

5) Quali sono le motivazioni che “con buona probabilità” inducono la Commissione ad affermare che siffatto aiuto è compatibile con il mercato comune?

6) Può la Commissione rispondere quanto prima alla richiesta inviata dai denuncianti il 27/07/11, in modo da dare accesso alla documentazione per consentire loro di fare eventuali e aggiuntive riflessioni”.

Sonia Alfano, nel pubblicare sul proprio sito "www.soniaalfano.it l'interrogazione, ha così commentato le finalità della sua ultima iniziativa politica. "Ho presentato una nuova interrogazione alla Commissione Europea. NO ai “prenditori” di soldi pubblici. NO alla distruzione paesaggistica (e non solo) della Valle dei Templi".
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sabato 23 luglio 2011

"LE VIN DU DIABLE"

E questo è il mio terzo racconto di...vino:
"LE VIN DU DIABLE"
Caro Maestro,
ho vissuto un episodio davvero fantastico. Fremo dalla voglia di raccontarvelo. "Ho bevuto le vin du diable!"*.
Cosi scrive Guy de Maupassant a Flaubert, in una lettera immaginaria**, dalla Sicilia dove si trova per il suo “grand tour”, nella primavera del 1885.
E continua: "E’ il famoso vino Malvasia, che si produce sull’isola di Salina. Ne volli bere un’intera bottiglia. E’ proprio il vino dei vulcani, denso, dolce, dorato, talmente pregno di zolfo che fino a sera ve ne rimane il gusto. Si direbbe il vino del diavolo".
Maupassant porta con sé una buona scorta del Malvasia lungo il suo tour. E’ generalmente incantato dalle testimonianze storiche, che scopre in Sicilia. Soprattutto dai "templi greci, quei monumenti belli e possenti che il popolo divino elevava ai suoi dèi umani".
Ma resta letteralmente folgorato di fronte alla prorompente bellezza della Venere di Siracusa, da tanto tempo vagheggiata.
La incontra dopo un lungo peregrinare per i siti siciliani più conosciuti. Giunto finalmente al museo di Siracusa, prega il suo gentile accompagnatore di non seguirlo nella sala dove la statua è custodita. Adesso è solo davanti a lei, a studiarne ogni centimetro del marmo.
Caro Maestro, "tante persone traversano continenti per raggiungere luoghi di culto e di miracoli; io ho portato le mie devozioni alla Venere di Siracusa. E’ la Venere Callipigia (riproduzione in alto), donata ai Siracusani da Eliogabalo", lo stravagante ventenne imperatore romano, trucidato dai suoi stessi pretoriani, che fece appena in tempo a introdurre a Roma il culto orientale del Sole e della Natura. Solo per questo motivo dovrebbe essere considerato il più grande imperatore dell’antichità classica.
L’immagine della sua Venere non l’abbandona mai per tutto il resto del viaggio in Sicilia. E’ un trascinarsi stanco da un luogo a un altro, senza trovare mai niente che l’attragga come quella donna di marmo. Per lui "Venere non è affatto la donna dei poeti, la donna divina o maestosa, è la donna tale come è, come la si ama, come la si desidera, come la si vuole stringere".

E finalmente a Girgenti*** l’episodio fantastico.
Mi trovavo nella famosa Valle dei Templi. Avevo finito la visita di "quelle dimore eterne degli dèi, morti come i loro fratelli umani", e me ne stavo all’ombra di un secolare ulivo, ai piedi del tempio di Giunone Lacina, a godermi una leggera brezza di maestrale, sollievo effimero alla calura siciliana, che a volte, anche in primavera, diventa insopportabile. E, allora, cosa di meglio di un buon bicchiere di vino freddo a lenire la momentanea arsura? Tiro fuori dal mio zaino una bottiglia del Malvasia, di cui vi parlavo prima e di cui avevo pensato bene di fare una buona scorta a Salina. Bevo il vino, rinfrescato dal ghiaccio, che alcuni scugnizzi girgentani, dagli occhi vispi e furbi, vendono agli sparuti turisti, in forma di grattatelle, che raschiano da un pesante cubo di ghiaccio, contenuto in una cassetta di legno rivestita di zinco per renderla impermeabile».

Lo bevo lentamente per assaporarlo fino all’ultima goccia. Che gusto, che sollievo! Come scende facile il Malvasia freddo, caro Maestro! Credo (anzi, ne sono certo) di averne bevuta una bottiglia intera. Di colpo una visione paradisiaca: escono dalle colonne del tempio di Giunone, l’ultimo da me visitato, cinque splendide fanciulle girgentane, addobbate come ninfe con svolazzanti veli bianchi, che suonano flauti e tamburelli. Avevo appena letto nel mio Baedeker che il tempio custodì, si dice, il famoso quadro di Giunone, dipinto dal pittore greco Zeusi, il quale aveva preso per modelle le cinque più belle fanciulle di Akràgas. Ma, allora, sono loro (mi sono detto): le ninfe di Giunone!.
Non ho fatto neppure in tempo a riprendermi dallo stupore, che mi vedo prendere per mano da due di loro e condurre lungo un dolce pendio, attraverso la valle in fiore, popolata da quelle splendide sculture viventi, che sono i tronchi dei secolari ulivi. Le altre ninfe ci precedono con canti festosi, al suono dei flauti e dei tamburelli. Ci fermiamo appena giunti alla base della Rupe Atenea, che chiude a nord est la città di Girgenti. Il tratto percorso non è breve, ma non mi sento per nulla stanco. Il mio corpo ha perso il proprio peso, assumendo una levità inusuale per un viandante, che macina chilometri a piedi. Alla fine della salita, volgiamo a destra e ci troviamo di fronte a un dirupo, che si affaccia in una sottostante vallata.
Dall’alto non si vedono antiche vestigia. Si scorge, però, osservando attentamente tra una fitta vegetazione di arbusti, qualcosa che sembra somigliare a una antica porta muraria. Le ninfe mi invitano a scendere. Esito. Non vedo nessun sentiero. Mi precedono, indicandomi gli arbusti più radicati nella roccia, che fanno quasi da scala naturale. La discesa è molto difficoltosa, ma alla fine arriviamo a un pianoro, dove posso rifiatare e osservare con attenzione la porta, che ora mi sta di fronte. Più che di una porta, si tratta di un’enorme riquadratura in conci di tufo, che incornicia l’ingresso di una grotta naturale incavata nella costone calcarenitico. Ai lati della porta due vasche sempre in conci di tufo, con in fondo qualche centimetro d’acqua».
Mi rendo conto di essere di fronte a uno dei più misteriosi e, nel contempo, affascinanti templi dell’antichità: il Santuario rupestre di Demetra e Persefone. Ve ne erano pochissimi sparsi per la Grecia e per la Magna Grecia. E uno è proprio a Girgenti, l’antica Akràgas. Il mito vuole che vi si celebrassero i Misteri Eleusini: i riti propiziatori dedicati a Demetra, dea della terra, e alla figlia Persefone, rapita da Plutone, dio degli inferi. Questi templi non furono visti con favore pure nell’antichità, soprattutto dopo la conquista dei Romani, che si affrettarono a chiuderli al culto, in quanto ritenevano osceni i Misteri Eleusini
Beata ignoranza! Ma cosa può esserci al mondo di più profondamente umano del culto della Natura, con l’adorazione del Sole, della Terra e di tutte le sue creature? Il tempio rupestre di Demetra e Persefone era proprio il luogo più adatto a rinnovarne il rito. Già la bocca stessa della grotta, incorniciata dalla porta in conci di tufo, sembra richiamare l’organo femminile. Ed è giusto che sia cosi. Infatti la natura è essenzialmente femmina!.
Lo so a cosa state pensando: che sono ossessionato sempre dal sesso! Mi sembra ancora di sentire il Vostro affettuoso rimprovero, quando, appena adolescente, cominciai a frequentare quelle case dette di perdizione: “Dove vai, pistolet, ma tu hai sempre la testa a quella cosa lì?”****.
“Quella cosa lì”, caro Maestro, è il vero simbolo della Natura e il tempio rupestre davanti a me ne è l’autentica rappresentazione. Mi siedo ad ammirarlo che già si è fatto sera. Il rosso disco del sole è sparito nel mare africano e l’argenteo viso della luna comincia a fare capolino, dietro il sovrastante costone della Rupe Atenea.
All’improvviso, comincio a sentire come un gorgoglìo d’acqua, ma non vedo ruscelli intorno a me. Osservo, invece, che, dal fondo delle vasche di pietra, l’acqua comincia a risalire lentamente ribollendo ed emanando un acre odore di zolfo, fino a raggiungere il livello massimo delle vasche. Che strano, penso, somiglia a uno di quei fenomeni vulcanici, che ho avuto modo di vedere nel vicino paese di Aragona, nella contrada che chiamano “Le Maccalube”. Contemporaneamente un dolce suono, come di flauti e cetre, proviene dalla grotta, che improvvisamente si illumina dall’interno. Dal fondo della grotta incede lentamente, con il sorriso più accattivante di questo mondo, una giovane fanciulla vestita di bianco, con il capo cinto da una corona di margherite, le stesse che avevo visto salendo per la valle, e con una melagrana in mano.
Ma è lei, esclamo, è Persefone! I simboli, che porta con sé, non dànno adito a dubbi: la corona di margheritine rappresenta la Primavera, la melagrana la fertilità della terra. Giunta sul limitare della grotta, la giovane attraversa la porta e guarda verso di me, ma sembra non vedermi, poi si gira a destra e a manca, a cercare qualcuno, che non tarda ad arrivare. Infatti, subito dopo un’altra luce si accende più in alto, proveniente da un’altra grotta, che prima non avevo notato, coperta com’è quasi completamente da arbusti. Anche da lì, preceduta da una soave melodia, compare una bellissima donna, coperta di veli gialli, che porta in mano spighe di grano. E’ Demetra, la dea della Terra, madre di Persefone. Anche lei si guarda intorno e appena scorge la figlia corre ad abbracciarla».
Ma ci pensate, Maestro, che fortuna? Sono l’unico mortale, che ha il privilegio di avere assistito all’incontro tra Demetra e Persefone, che, secondo l’imperscrutabile volere di Zeus, deve trascorrere sei mesi all’anno agli inferi con il dio Plutone, suo marito, e il restante periodo sulla terra, con la madre. Mai, credetemi, incontro è stato più commovente, anche se si ripete ormai da parecchi millenni. La Dea della Terra abbraccia l’adorata figlia e, con lei, sparisce tra la vegetazione, per restituirla, secondo il mito, dopo sei mesi, all’inizio dell’inverno.
Ma non è finita qui, caro Maestro, il più bello Ve lo devo ancora raccontare. D’un tratto, la stessa grotta, da dove è uscita Demetra, s’illumina di una luce ancora più intensa e vedo procedere, dal fondo di essa, un’altra figura di donna più incantevole delle precedenti, che, però, ancora non distinguo bene. Ecco ora la scorgo meglio: è lei, non posso crederci, la Venere Callipigia, la “mia” Venere! Stavolta in carne e ossa, che avanza con incedere misurato ed elegante; il viso radioso; i capelli ricci biondi, annodati dietro la nuca. "E’ prosperosa, col seno florido nudo, l’anca robusta e la gamba vigorosa; è una Venere carnale, che, quando la si vede in piedi, è naturale immaginarla coricata. Il braccio destro cela i seni; con la mano sinistra solleva un panno, col quale copre, con grazia, i fascini più intimi. Questo gesto semplice e naturale, pregno di pudore e di sensualità, che nasconde e mostra, che vela e svela, che attrae e allontana, sembra definire tutti i caratteri della donna sulla terra".
A differenza delle altre due divinità, lei mi scorge e mi invita ad avvicinarmi, con un sorriso che le illumina il volto. "Ha quel fascino del sorriso nato da una piega delle labbra e da un luccichio di smalto, nella grazia delle forme e dei movimenti fatti a caso". A questo punto, avanzo incantato verso di lei. Sorride, sorrido anch’io. Lentamente avvicina la sua mano destra e sfiora appena appena il mio volto. Che emozione, caro Maestro, "quel gesto soave esprime tutta la reale poesia della carezza!".
Inebriato e tremante mi risveglio, sotto l’albero dell’ulivo, ai piedi del tempio di Giunone. Accanto a me la bottiglia vuota del Malvasia e in bocca ancora il sapore sulfureo del vino. Incredibile, Maestro! Ho vissuto l’esperienza onirica più esaltante della mia vita. E allora dico grazie alla Sicilia, grazie a Girgenti ma, soprattutto, merci au vin du diable».

* Le frasi virgolettatte sono tratte dal resoconto di viaggio di Guy de Maupassant: “La vie errante”. Capitolo: “La Sicilie”- 1885.
** Lettera immaginaria, che Maupassant non ha mai scritto, anche perché
Flaubert era morto cinque anni prima che M. realizzasse il suo viaggio in
Sicilia.
*** Girgenti è l’attuale Agrigento.
**** L’espressione “Dove vai pistolet…” è contenuta nel diario che Flaubert
tenne durante il viaggio che effettuò in Svizzera con Maupassant nel 1876
Gaetano Gaziano
tanogaziano@yahoo.it
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mercoledì 20 luglio 2011

Rigassificatore di Porto Empedocle: oggi è un giorno triste ma non ci arrendiamo

Oggi è un giorno triste: apprendiamo che il Consiglio di Stato ha ieri deciso di accettare i ricorsi di Enel e del comune di Porto Empedocle, dando così il via libera alla costruzione di un rigassificatore da 8 miliardi di mc a Porto Empedocle sotto la Valle dei Templi di Agrigento, patrimonio Unesco.
Ma non ci arrendiamo!
Le associazioni stanno valutando i rimedi giuridici, e ce ne sono, di contrastare il progetto industriale gasiero che, se realizzato, snaturerà irreversibilmente la vocazione economica del nostro territorio che è e non può che essere quella del turismo culturale.
Si ringrazia intanto il Sindaco di Agrigento, Marco Zambuto, che, sposando la nostra causa, non ha esitato a schierarsi a nostro fianco con grande coraggio.
Sappiamo quali e quante pressioni politiche ha ricevuto e gli attacchi violenti di Confindustria.
Grazie, Marco.
Le associazioni, che si sono battute per contrastare i poteri forti, ti dicono che continueranno la lotta e sono certe che ti avranno sempre a loro fianco.
Gaetano Gaziano
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martedì 19 luglio 2011

Rigassificatore: entro otto giorni la sentenza del Consiglio di Stato

Oggi c'è stata l'udienza conclusiva della sesta sezione del Consiglio di Stato, presieduta dal Dr. Giuseppe Severini, sulla vicenda del rigassificatore di Porto Empededocle sotto la Valle dei Templi dichiarata patrimonio Unesco.
Gli avvocati difensori del Comune di Agrigento, della Camera di Commercio, di Legambiente, di Italia Nostra, di Codacons, di Arci e di tante altre associazioni, compresa la nostra, hanno esposto le ultime argomentazioni contro la realizzazione dell'impianto.
Desideriamo ringraziare, intanto, tutti gli avvocati che, oltre alla propria professionalità, hanno profuso un quid in più: la loro passione civile per contrastare un opera che, se realizzata, supponiamo sarà ritenuta motivo di ignominia dal mondo intero della cultura per noi Italiani tutti.
Il dispositivo della sentenza verrà dato entro 8 giorni. Per le motivazioni bisognerà attendere qualche mese.
Incrociamo le dita!
Gaetano Gaziano
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giovedì 7 luglio 2011

Il verdetto di Dom Pérignon

Questo il secondo dei miei racconti, tratto dalla raccolta "Il Bacchino ubriaco e altre storie" edita da Excogita di Milano
°°°°°°°°
"Il verdetto di Dom Pérignon"
Dom Pierre Pérignon era il monaco più famoso di Francia.
E per due motivi: aveva creato il celebre vino “Champagne” e godeva di fama di tombeur de femmes. Anche se monaco. Anzi, proprio perché monaco.
Cellario (economo) dell’abbazia benedettina di Hautevillers, paesino che si affaccia sulla Marna, Pérignon conduceva una vita serena ma, tutto sommato, anonima quando, un giorno, per caso (o per fortuna) gli capitò di intervenire sul processo di fermentazione del vino, che i monaci della sua abbazia producevano da secoli. Provò ad aggiungere dello zucchero durante la maturazione del mosto.
Nacque così il famoso vino dalle bollicine (perlage). E fu subito leggenda.
Il vino conquistò ben presto le mense aristocratiche, prima della regione dove veniva prodotto e, subito dopo, dell’intera Francia.
Non c’era casa nobiliare francese che non usasse lo Champagne, come segno di distinzione sociale.
E quando il vino approdò a Versailles, alla corte reale, fu la vera e autentica consacrazione.
Con il vino divenne famoso anche il suo creatore: Dom Pierre Pérignon, che seppe cavalcare abilmente il successo del momento, non per ottenere denaro, che pure arrivò copioso nelle casse della sua abbazia, ma per assecondare una sua curiosa debolezza: le dame del bel mondo dell’aristocrazia. Certo, inconfessabile per un monaco e, tuttavia, pressante e irrefrenabile.
Per la verità, qualche approccio galante l’aveva pure avuto, dato che si era guadagnata una discreta fama di confessore attento e scrupoloso. Ed era anche molto indulgente, nei confronti delle giovani penitenti, per le loro trasgressioni coniugali. Soprattutto, se consumate con il giovane confessore. Ma si trattava sempre di roba di poco conto, di popolane. Il simpatico monaco aspirava a ben altro. E lo Champagne gli venne in soccorso.
Scoprì (e aveva ragione) che il nobile vino non può essere bevuto in bicchieri di grossolano vetro. Si gusta di più, se assaporato lentamente in bicchieri di cristallo sottile sottile come chiffon.
Ed ecco la sua trovata: non in bicchieri di cristallo dalla foggia tradizionale, ma in bicchieri a forma di coppa, che però le fabbriche reali di cristalleria ancora non producevano, se non in modo approssimativo.
«Bisogna trovare una coppa ideale, e il suo stampo non può che essere il seno perfetto di una donna bellissima» fece sapere in giro l’abile monaco.
A quel punto la sfida era stata lanciata.
Se ne capì subito anche l’importanza. La donna, che avesse avuto la ventura di vincere la competizione, fornendo il proprio seno come stampo, avrebbe consegnato alla storia il proprio nome come simbolo di bellezza universale.
Le aristocratiche del luogo fecero a gara a invitare il geniale monaco nelle proprie lussuose dimore.
«E’ un bravo confessore!» dicevano agli ingenui mariti.

Dom Pérignon faceva il suo lavoro, con rigore professionale. Con estrema serietà. L’esame “obiettivo” della perfezione del seno, offerto alla sua valutazione, avveniva sempre in camera da letto, lontano da occhi indiscreti. Naturalmente, non poteva essere limitato alla sola parte del torace denudato.
«Il nudo femminile ha una sua armonia complessiva,» sosteneva alla candidata di turno, con pignoleria da medico curante, «per cui occorre che lei si spogli completamente».
E le aspiranti “miss seno più bello del mondo” si lasciavano convincere molto volentieri dall’affascinante monaco, senza fare molta resistenza.
Dom Pérignon ebbe il suo bel daffare per un lungo periodo di tempo: andava nelle dimore delle belle aristocratiche, “misurava e confessava”.
Dopo che ebbe “confessato” le più belle dame di tutta la regione, pensò che era arrivato il momento di portare la sua missione di “misuratore e confessore” all’interno della stessa reggia di Versailles. Non era facile, però.
Vi regnava un giovane sovrano potente e gaudente, che aveva imposto alla propria corte un rigido protocollo di accesso per tutti: aristocratici ed ecclesiastici.
Il re era Luigi XIV, le Roi Soleil.
Ma non disperò. Aspettò con calma che si presentasse l’opportunità giusta, che arrivò con l’ultima visita di “misurazione e confessione”. La richiesta gli venne, questa volta, dalla bellissima madame de Boucheron, dama di compagnia della Regina.
Il monaco fu più attento e scrupoloso del solito nella valutazione del bellissimo seno dell’avvenente dama e ancora più accurato nella “confessione”, che durò l’intera notte. L’indomani, entrambi esausti, si congedarono con la promessa del monaco di confessare più spesso la “contrita” penitente, e di un intervento di madame de Boucheron presso il cerimoniere di Versailles, per fargli avere un invito a corte.
Dopo qualche settimana Dom Pérignon fece il suo ingresso a Versailles, come assistente provvisorio del cappellano di corte e come confessore aggiunto. Era arrivato il momento che tanto aspettava. E lo sfruttò a dovere.
Quando mise piede nella reggia, restò letteralmente a bocca aperta davanti a quelle meraviglie. E dire che ne aveva visitate di dimore nobiliari e di castelli vari, per via della sua attività di “confessore”.
Centinaia di sale affrescate e ornate di stucchi dorati. E monumentali candelabri di cristallo di Murano e di Limoges, pendenti dai soffitti. E, alle pareti, preziose tele di Tiziano, Velasquez, Rubens e tanti altri. E preziosi arazzi Gobelins e fiamminghi, tramati di fili d’oro e d’argento. Mai vista, dal monaco, tanta ricchezza e tanto sfarzo concentrati in uno stesso luogo.
E che gente! Tutta la migliore nobiltà francese risiedeva in quelle stanze incantate, impiegando il proprio tempo tra lauti pranzi e leziosi minuetti. E quante dame da “confessare”!
Introdotto da madame de Boucheron, Dom Pérignon, che già era conosciuto e apprezzato come creatore dello Champagne, si mise tosto all’opera, alla ricerca del seno perfetto, come stampo per la coppa ideale di cristallo. E, a palazzo, il materiale umano da esaminare abbondava. Le sue qualità vennero subito apprezzate e divennero, anzi, argomento di amena e gustosa conversazione delle imparruccate e incipriate dame di corte, dietro lo sventolio civettuolo dei preziosi ventagli intarsiati e orlati di pizzo.
E dom Pérignon “misurava e confessava”.
Tutte le dame di corte, nessuna esclusa, erano in lista di attesa, per essere visitate. Comprese le “favorite” di turno del Roi Soleil. Anzi, erano proprio quelle che, più delle altre, facevano “dolce” pressione sul monaco, per aggiudicarsi l’agognato primato. Cosa non avrebbero dato, pur di vedere schiattare qualche odiatissima rivale! E quanti regalini ricevette!
A dom Pérignon il gioco piaceva. Era abbastanza furbo per capire che, se avesse proclamato una vincitrice scegliendo il suo seno come stampo per la coppa ideale, si sarebbe fatta un’amica ma, di contro, centinaia di nemiche. Non aveva fretta, dunque.
Capì tutto Molière, autore dei testi teatrali e capocomico della compagnia, che intratteneva gli aristocratici spettatori con esilaranti pièces, nel teatro di corte, dove non era raro vedere impegnato personalmente lo stesso re.
«L’importante è che non “confessiate” mia moglie» gli diceva divertito il grande commediografo.
«Il n’y a pas de problème» lo rassicurava, con fare ammiccante, il gaudente frate.
Nelle sue visite, gli capitò a volte di incrociare Luigi XIV, che usciva furtivo dagli appartamenti delle sue favorite.
«Mon cher ami» gli strizzava l’occhio, con sorriso complice, il sovrano, che era ben informato della sua attività di “consulente spirituale” delle dame di corte.
«Maestà!» rispondeva deferente Dom Perignon, con un grande inchino, ricambiando il sorriso, con compiacimento.

«Dom Pierre, la Regina vi vuole conoscere» gli confidò un giorno madame de Boucheron.
Questa proprio non se l’aspettava!
Dopo avere effettuato la visita e la “confessione”, con l’attenzione di sempre, il frate pensò:
«Questa è la volta buona per mettere fine a questa sfida. Se faccio vincere la regina, nessuna dama troverà da ridire sul verdetto, almeno ufficialmente. Anche se ha il seno che non è un granché».
E, poi, si era pure stancato di ricorrere a quello stucchevole espediente della gara della misurazione, per accedere negli appartamenti delle belle dame. Non ne aveva più bisogno: ormai veniva invitato liberamente dalle voluttuose aristocratiche con molta nonchalance.
Ma Dom Pérignon fece male i suoi calcoli.
Se ne rese conto, quando gli arrivò, tramite la solita amica, l’ambasceria dell’ultima favorita del re, la bellissima madame de Maintenon. E quella non era una favorita qualsiasi, era “la favorita delle favorite”! A tal punto che il sovrano, innamoratissimo, l’aveva sposata in segreto, con un matrimonio morganatico.
Il bravo monaco non poté sottrarsi all’invito. “Misurò e confessò” anche madame de Maintenon.
Ora il problema era grosso. Madame era persona molto influente a corte. Forse più della stessa regina. Non poteva tergiversare, ma intuiva il rischio che correva, nell’effettuare la scelta. In ogni caso, avrebbe avuto contro una delle persone più potenti di Francia.
«Adesso posso capire» pensò l’angosciato frate «cosa provò Paride, nel dover aggiudicare la famosa gara di bellezza tra Giunone, Minerva e Venere, e il prezzo alto che dovettero pagare, lui e la sua gente, per l’incauta decisione di eleggere Venere “la più bella del mondo”».
Queste e altre cose pensava, quando gli arrivò la notizia che il terribile cardinale Mazarino, primo ministro del re, l’aveva convocato nel suo studio.
«Ha saputo certamente, attraverso i suoi informatori, della mia attività di “confessore” e vuol farmela pagare» pensò, preoccupato, mentre si recava dal cardinale, che invece, stranamente, l’accolse con fare molto cordiale:
«Ne t’inquiète pas, mon ami. So della tua attività di “assistente spirituale” delle dame di corte. Ma questa volta l’hai combinata grossa!».
«Perché mai, eminenza?» rispose il frate, con un fil di voce e con le gambe che gli tremavano un po’.
«Non fare il finto tonto! Con questa storia del seno perfetto, da utilizzare come stampo, hai scatenato una feroce rivalità tra le due persone più potenti della corte di Versailles: la regina e madame de Maintenon. Rischi di vanificare gli sforzi che faccio da anni, per mantenere il delicatissimo equilibrio tra tutti i componenti della reggia, per il bene supremo della Francia».
«Ma eminenza, si tratta di un gioco innocente…» tentò di replicare timidamente il frastornato frate.
«E chiamalo innocente! Lo sai tu che le due “signore” esercitano un forte ascendente sul volubile carattere del sovrano? O fai finta di non saperlo? Dare qualche riconoscimento in più all’una o all’altra, anche se di natura frivola come l’apprezzamento estetico sulla perfezione del seno, significherebbe scatenare la guerra tra le due, mandando alla malora tutta la mia sottile opera di diplomazia».
«Perdonatemi, eminenza. Cosa posso fare per rimediare?» chiese l’attonito frate.
«Non devi far niente. Assolutamente niente. Non aggiudicare questa stupida gara. Prendi tempo, rinvia!».
«Ma..?».
«Non ci sono “ma” che tengano» disse, drastico, il cardinale. «Non temere per il risentimento e le punizioni delle “signore”. Me ne occupo io, personalmente. In caso contrario sai cosa rischi!». Così dicendo, si passò, in modo inequivocabile, l’indice della mano inanellata sul collo, da sinistra verso destra.
Mai messaggio al mondo avrebbe potuto essere più chiaro.
Il furbo Dom Pérignon capì e non decise mai. Fino alla fine dei suoi giorni.

La ricerca, comunque, continuò anche dopo di lui, per opera di altri frati “confessori” dell’abbazia di Hautevillers. Fu completata qualche tempo dopo, quando, a fornire lo stampo per la coppa ideale per lo Champagne, fu la cortigiana più famosa della Storia: Madame de Pompadour.
Gaetano Gaziano
tanogaziano@yahoo.it
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martedì 5 luglio 2011

Rigassificatore: lettera aperta di Roberto Gallo al presidente D'Orsi

Bravo Roberto Gallo!
Stai svolgendo fino in fondo il tuo compito di consigliere provinciale di Agrigento.
E questo ti fa onore.
Pubblichiamo volentieri sul nostro blog la tua lettera aperta inviata al presidente della Provincia di Agrigento per invitarlo a costituirsi dinanzi al consiglio di Stato nella vertenza che vede impegnati il Comune di Agrigento e diverse associazioni agrigentine, compresa la nostra, a contrastare l'ignobile progetto di costruire un rigassificatore da 8 miliardi di mc. sotto la Valle dei Templi di Agrigento, patrimonio Unesco.
Gaetano Gaziano
°°°°°
Questo il testo integrale della lettera aperta del consigliere Gallo:
"Caro presidente D’Orsi , la mia ultima interrogazione sul rigassificatore che venerdi’ 01 luglio 2011 ho formalmente presentato , era orientata a richiamarla al suo ruolo , ed in particolare alle sue responsabilita’ su temi cosi’ delicati quali lo sviluppo del territorio, e quali le regole che impongono al Capo dell’amm.ne di tenere in considerazione i deliberati che il Consiglio vota a maggioranza.
Cio’ detto , ricordandole che il 19 luglio è prevista l’udienza al Consiglio di Stato sull’argomento, dopo che il TAR Lazio aveva bocciato l’impianto autorizzativo al rigassificatore , e quindi a seguito del controricorso fatto da chi è favorevole a realizzare il rigassificatore , LE CHIEDO di valutare bene la possibilita’ di costituirsi in giudizio , sottolineando che il Consiglio Provinciale di Ag che rappresenta la maggioranza degli elettori Agrigentini si è gia’ espresso in tal senso.
Ribadisco, che la presenza all’udienza del Consiglio di Stato , rappresenterebbe per Lei una opportunita’ di dare un segnale forte alla Comunita’ Agrigentina ed anche verso tutti i Consiglieri Provinciali . Se Lei ritiene che il rigassificatore sia una possibilita’ positiva per il nostro territorio, nessuno le chiede di cambiare opinione , ma ripeto ancora, non sprechi questa occasione di dimostrare che ha rispetto per il Consiglio Provinciale e le prerogative ad esso collegate.
Malgrado la decorrenza dei termini siamo ancora in tempo per avere un Legale che per conto della Provincia sia presente al Consiglio di Stato il 19 luglio a Roma. Ancorche’ non potra’ presentere una memoria scritta , il Legale potra’ intervenire nel dibattimento e ribadire che la Provincia di Agrigento ritiene fondamentale la correttezza delle procedure autorizzative , ed anche le perplessita’ che il Consiglio Provinciale ha espresso a maggioranza sull’argomento.
Questo caro D’Orsi non la obblighera’ a cambiare le sue opinioni , ma le dara’ una giusta visibilita’ di grande trasparenza amm.va , e perche’ no di una giusto migliore rapporto col Consiglio.
Cordialmente, Roberto Gallo".
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lunedì 27 giugno 2011

"EST! EST!! EST!!!"

Siamo in estate e voglio offrire ai lettori di questo blog qualcuno dei miei racconti che parlano di vino, d'amore, di gioia di vivere.
La raccolta completa dal titolo "Il Bacchino ubriaco e altre storie" è pubblicata dall'editrice Excogita di Milano, che gentilemnte concede di inserirli in questo blog.

Ed ecco il primo dei racconti.

"Est! Est!! Est!!!"
Sua Eminenza, Giovanni Defùk, era un intenditore di vini. E non solo.
Vescovo cattolico di Magonza, gestiva la sua diocesi con modi garbati e con fare bonario.
Nella sua diocesi, per esempio, non erano mai stati celebrati processi contro streghe o eretici (e siamo in pieno Medio Evo).
«Sono farina del diavolo!» diceva delle lettere anonime, che pure gli arrivavano copiose, a denunciare pratiche di stregoneria o di eresia.
Il palazzo del vescovado era aperto a tutti, dal Borgomastro all’ultimo contadino, ogni giorno della settimana, tranne in alcuni giorni, durante i quali l’accesso era rigorosamente “verboten”.
«Sua Eminenza fa gli “esercizi spirituali”» era la motivazione ufficiale del segretario personale, frate Martino.
Quando era “in ritiro”, Sua Eminenza amava rinfrescare i momenti di “meditazione” con l’ottimo bianco del Reno, raffreddato con la neve, nelle cantine del vescovado.
E ad assistere Sua Eminenza, durante gli “esercizi spirituali”, erano sempre alcune suore di clausura non giovanissime, quelle più mature.
«Sono le più esperienti!» confidava malizioso al segretario Martino, che in tale circostanza assumeva anche le vesti di coppiere.
L’aspetto rilassato e soddisfatto di mons. Defùk, alla fine degli “esercizi”, ne testimoniava la validità e l’efficacia.
Le guance arrossate e l'aspetto rubizzo la dicevano lunga sullo stato di generale benessere procuratogli dalla lunga attività di “raccoglimento”.
Lo sguardo sorridente e furbo aggiungeva simpatia al suo volto rotondo e pacioso, espressione di serenità e bonomia.
L’Imperatore Enrico V conosceva bene l’attitudine di mons. Defùk a ritirarsi spesso in “meditazione”. Ma gli voleva bene anche per questo.
E, poi, in quel preciso momento storico aveva bisogno delle sue abili doti diplomatiche, di cui gli faceva ampio credito.
Correva l’anno del Signore 1111 e quell’intollerante, per lui, papa Pasquale II, a Roma, non si decideva a legittimarne l’autorità imperiale, rifiutandosi di incoronarlo come Imperatore del Sacro Romano Impero.
«Andremo a Roma a farmi incoronare!» disse all’esterrefatto vescovo.
«Non capisco “quell’andremo”» disse mons. Defùk all’Imperatore. «Cosa devo venirci a fare io a Roma, Maestà?».
«Voi siete il mio più fidato consigliere diplomatico» rispose, deciso, l’Imperatore.
«Sfrutterò al meglio la vostra abilità a trattare con Roma. Vorrei evitare di usare altri argomenti forse più convincenti, ma che ritengo, al momento, meno opportuni».
Quando parlava di “argomenti più convincenti”, si riferiva al potente esercito con cui si apprestava a scendere in Italia.
«In verità, non mi sento di affrontare un viaggio così faticoso» insistette timidamente mons. Defùk, riluttante a lasciare le comodità e gli agi della sua tranquilla diocesi di Magonza.
«Ci tengo!» disse, risoluto, l’imperatore. «E, poi, l’Italia è anche terra di buon vino e di belle donne» continuò, sapendo di colpire nel segno.
«Davvero?» chiese, curioso, monsignore, che non aveva mai messo il naso fuori dai confini della sua diocesi.
«Il migliore e le più belle del mondo!» fece l’Imperatore, strizzandogli l’occhio.
«Verrò!» disse, allora, convinto il prelato.
Il viaggio, intrapreso verso l’Italia, doveva essere per l’Imperatore una missione diplomatica. Per mons. Defùk un piacere dello spirito e… del corpo.
E, in effetti, fu entrambe le cose.
L’Imperatore, assistito dal suo consulente diplomatico, man mano che si avvicinava a Roma, preparava e affinava le argomentazioni politico-giuridiche per convincere Sua Santità a legittimare la sua aspirazione a essere incoronato. A ogni buon conto, aveva sempre l’argomento di riserva: il suo potente esercito.
Mons. Defùk, deciso a godere dei vantaggi turistico-gastronomico-enologici della spedizione, più che di quelli politici, non avendo informazioni precise sul vino e sull’ospitalità delle varie taberne e hostarie che incontravano lungo il loro itinerario, si faceva precedere dal proprio segretario, il frate-coppiere Martino, a saggiarne la bontà.
Il segnale convenuto, dell’eseguita indagine, era tanto semplice quanto originale: un cartello con la scritta “Est!”, affisso dallo scaltro frate sulla porta della locanda visitata, era un messaggio in codice, ma eloquente per mons. Defùk, che buono era il vino; che altrettanto buona era l’ospitalità. E per “ospitalità” sapeva bene cosa intendesse il suo padrone.
La doppia scritta “Est! Est!!” stava a indicare il livello di eccellenza dei “prodotti” testati.
Questa semplice ma genialissima precauzione mise al riparo il nostro monsignore da indesiderate quanto spiacevoli sorprese e gli consentì di apprezzare la bontà dei vini italiani e l’ “ospitalità” delle compiacenti locandiere, preventivamente selezionate.
Giunta la spedizione nello Stato della Chiesa, alle porte del ridente e assolato paesino di Montefiascone, mons. Defùk si congedò dall’Imperatore, che, come al solito, veniva ospitato dalle potenti famiglie aristocratiche, che incontrava lungo il viaggio.
«Non capisco questa vostra predilezione per le locande» osservò l’Imperatore. «Non stareste meglio nella casa nobiliare, che ci ospita in questo delizioso paese?».
«No, Maestà! Preferisco le locande. Mi consentono di conoscere meglio la gente del luogo» rispose, ammiccando, monsignore e si avviò alla locanda, precedentemente “esplorata” da fra’ Martino.
Arrivato al centro del paese, in compagnia del suo fedele segretario, monsignore individuò subito la dimora prescelta, in quanto il solito cartello faceva bella mostra di sé sul portone d’ingresso della locanda “ALLA POLLASTRA ZOPPA”.
Avvicinatosi, mons. Defùk lesse, con sorpresa, la scritta “Est! Est!! Est!!!”.
«Come mai tre volte est?» chiese, curioso, al suo segretario.
«Vedrete, Eminenza, e capirete!» rispose, sornione, fra’ Martino.
Annunciato il loro arrivo dal frate, venne ad accogliere gli ospiti una splendida locandiera dall’apparente età di 30-35 anni, occhi neri, ardenti come tizzoni.
«Benvenuti, sono la sora Gina, la proprietaria della locanda, accomodatevi!» disse, con il sorriso più accattivante di questo mondo.
«Ecco spiegato il triplice est!» pensò, compiaciuto, monsignore.
La sora Gina li precedette, per accompagnarli nei rispettivi alloggiamenti.
Monsignore, mentre la seguiva, studiò con occhio di esperto il corpo dell’avvenente locandiera, apprezzandone le procaci forme, che pure si intuivano, sotto l’abbondante veste. Notò, inoltre, che era leggermente claudicante, ma che la sora Gina mascherava abilmente il lieve difetto fisico, ancheggiando con civetteria, cosa che la rendeva ancora più attraente.
«Questa donna deve essere davvero eccezionale,» pensò il prelato buongustaio, «se, con spirito di grande autoironia, non ha esitato a dare alla sua locanda, il nome di “ALLA POLLASTRA ZOPPA”».
La sora Gina sistemò fra’ Martino a piano terra, in una calda stanza adiacente alla cucina, e monsignore di sopra, in una confortevole camera arredata con gusto e sobrietà, accanto alla propria stanza da letto.
«Hic manebimus optime!» pensò mons. Defùk, mentre sistemava i suoi bagagli.
Fra’ Martino si prese cura di fare sloggiare i pochi avventori presenti in quel momento nella locanda, con il convincente argomento dell’elargizione di qualche moneta d’oro, e di affiggere prontamente sulla porta di ingresso la scritta “Locanda occupata dai dignitari di corte di Sua Maestà, l’Imperatore Enrico V”.
Mons. Defùk trascorse “i giorni più belli della mia vita”, come annotò nel suo diario di viaggio, oggi conservato tra i documenti “Top Secret” del Vaticano, accudito esclusivamente dalla bella Gina e dal frate coppiere.
“Mai, prima d’ora, avevo gustato un vino così eccellente come quello che si produce in queste terre”.
Niente è riferito nel diario (si pensa per discrezione) sulle amorevoli cure, che prodigò la sora Gina per rendere “indimenticabile” il viaggio di monsignore.
La leggenda ci tramanda, comunque, che i vicini, nei momenti di maggiore “trasporto mistico” della coppia, abbiano percepito inequivocabili gridolini di benessere “Est! Est!! Est!!! ”, provenienti dalla stanza da letto di mons. Defùk.
Dopo tre giorni, l’Imperatore, spazientito, per aver dovuto rallentare la marcia verso Roma a causa delle “meditazioni” del proprio consigliere diplomatico, lo mandò a chiamare categoricamente.
«Perdonatemi, Maestà, ho dovuto approfondire le argomentazioni giuridiche...».
«Conosco bene la vostra attività di “approfondimento”!» lo bloccò, con un sorriso, l’Imperatore. «Basta, si va a Roma!».

La discussione con Pasquale II, sulla controversia dell’incoronazione, non fu né semplice né sempre improntata a comportamenti diplomatici. Tutt’altro. A volte fu, addirittura, costellata da momenti drammatici, anche cruenti, perché non era limitata alla sola formalità del riconoscimento papale dell’autorità imperiale di Enrico V, ma era, altresì, collegata con annose problematiche di spartizione di interi Stati, tra le potenti famiglie reali europee del tempo.
Alla fine, comunque, prevalse il buon senso e venne trovato un compromesso onorevole per entrambe le parti, grazie anche all’abile opera di mediazione di mons. Defùk.
La cerimonia di incoronazione, celebrata a Roma il 13 aprile del 1111, fu sfarzosa: l’imperatore Enrico V era raggiante, gongolante e soddisfatto il suo consigliere diplomatico.
A conclusione della cerimonia, mons. Defùk chiese e ottenne udienza privata da Papa Pasquale II.
«Santità,» esordì, con deferenza, «ho da rappresentarvi un’esigenza, che non è solo mia, per la verità, ma del clero di tutto il mondo».
«Dite pure!» lo incoraggiò, con un largo sorriso, il Papa, che, durante le giornate di discussione della controversia imperiale, aveva avuto occasione di apprezzarne le notevoli qualità diplomatiche.
«L’obbligo del celibato è diventato pesante e insostenibile! Penso che potremmo svolgere il nostro ministero più adeguatamente, se le nostre giornate fossero riscaldate dall’amore di una compagna…» mons. Defùk iniziò a perorare la causa che più gli premeva, con fare accorato, ma osservò che Sua Santità, a quelle parole, si irrigidì subito, diventando scuro in volto.
«Le tradizioni vanno rispettate. Il nostro compito è quello di servire Cristo e la Chiesa!» lo troncò, con durezza, Pasquale II.
«Capisco» rispose mons. Defùk, inghiottendo amaro.
«Pasquale II da questo orecchio non ci sente!» pensò, osservando che, a differenza di quasi tutti i pontefici che l’avevano preceduto sul soglio di Pietro, quel Papa amava farsi assistere da giovani e aitanti chierici, piuttosto che da suore.
E non insistette.
Sulla strada del ritorno, giunti che furono a Montefiascone, monsignore prese la sua storica decisione.
«Maestà, il mio viaggio è finito, mi fermo in questi luoghi dove ho trovato amore, felicità ed eccellente vino!» comunicò al suo Imperatore.
«Non posso darvi torto!» fu la risposta compiaciuta di Enrico V, che lo nominò barone dell’Impero, per compensarlo sia della rinuncia al posto di vescovo di Magonza che per il successo della missione diplomatica.
Mons. Defùk trascorse il resto della sua vita a Montefiascone, accanto alla sua adorata Gina, nella tenuta, che aveva comprato con la dote dell’Imperatore, coltivando la terra e, soprattutto, producendo quell’ottimo vino, che, da quel momento e in suo onore, porta il nome di “Est! Est!! Est!!!”, di cui fu anche il più convinto estimatore e consumatore.
Monsignore si fece amare dalla gente del luogo per l’attività di grande benefattore e, alla sua morte, per aver donato tutti i propri beni alla comunità di Montefiascone, fu sepolto nella chiesa romanica di S.Flaviano, a testimonianza del loro affetto.
Sulla pietra tombale, è riportata l’iscrizione “Propter nimium est est est hic Johannes de Funk dominus meus mortuus est”, che, senza molte perifrasi, allude alla morte felice di monsignore, avvenuta dopo un’abbondante libagione del suo vino preferito.
La lapide non lo riporta, ma tradizione vuole che nella stessa tomba sia sepolta la sua amata, la sora Gina.
Ogni anno, a ricordo del grande vescovo-barone-benefattore e della sua sposa, viene versato, in una notte di plenilunio di agosto, sulla loro tomba un barilotto dell’ottimo vino locale da parte di quei montefiasconesi, che, durante l’anno, si siano maggiormente distinti a onorare degnamente il dio Bacco. E, ogni volta, qualcuno di loro giura di avere sentito, provenienti dalla tomba, gridolini di benessere “Est! Est!! Est!!!”.
Gaetano Gaziano.
tanogaziano@yahoo.it

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domenica 19 giugno 2011

REFERENDUM: E ORA SPAZZIAMO VIA IL PORCELLUM

L'esito degli ultimi referendum ci consegna un risultato di natura politica, sociale e culturale di grande spessore storico, l'esigenza cioè fortemente avvertita dai cittadini di volere partecipare alle scelte esistenziali di primaria importanza, come quelle che riguardano la vita democratica del nostro Paese, le strategie energetiche, la forma pubblica o privata dei servizi e, in generale, tutte quelle decisioni che comportano mutamenti profondi nell'assetto economico-istituzionale dell' “azienda” Italia. La gente ormai è stanca di accettare decisioni prese dall'alto sulla propria pelle.
E si tratta di un sentimento forte non più arrestabile, perché proviene dalla base dei cittadini-elettori ed è alimentato sempre più dalla comunicazione on line che ha definitivamente soppiantato quella tradizionale completamente asservita agli interessi delle lobby affaristiche, verso cui i politici e i sindacalisti hanno assunto un ruolo di meri strumenti di esecuzione.
Questa “rivoluzione” si è cominciata a vedere attraverso i risultati degli ultimi referendum. Se non fosse stato per i movimenti spontanei e per internet il quorum non sarebbe stato mai raggiunto.
Sulla spinta di questo grande successo del popolo “pecorone” (così lo vedono i politici e i sindacalisti) è nato già il movimento per la raccolta delle firme per abrogare l'attuale legge elettorale, definita “una porcata” dal suo stesso autore, il leghista Calderoli.
E la richiesta non viene dai partiti o dai sindacati, attestati come sempre su posizioni conservatrici del potere acquisito, ma da un gruppo di intellettuali come Umberto Eco, Giovanni Sartori, Dacia Maraini, Claudio Abbado, Margherita Hack ed altri che hanno aderito al movimento di Stefanno Passigli, docente di scienza della politica all'università di Firenze, denominato “Io firmo-riprendiamoci il voto”.
Il Pdl e la Lega Nord sono ovviamente contrari, ma è contrario anche il Pd che, per bocca del senatore Stefano Ceccanti, ha bocciato l'iniziativa referendaria.
E su ciò non c'era alcun dubbio visto il comportamento altalenante e ambiguo che hanno tenuto sugli ultimi referendum quelli del Pd.
Non è un mistero per nessuno, infatti, che Bersani fosse filonuclearista e favorevole alla gestione privata dell'acqua. Poi, capendo che il vento del rinnovamento proveniente dal basso avrebbe travolto i partiti e i loro leader, ha cavalcato i referendum, intestandosi arbitrariamente il successo finale.
Oggi osteggiano il referendum sull'abrogazione del “porcellum”, ma domani, capendo magari che l'iniziativa potrebbe avere successo, saranno pronti a saltare di nuovo sul carro dei vincitori.
Ed è anche comprensibile che siano contrari ad abrogare l'attuale legge elettorale.
Come potrebbero sennò i maggiorenti del Pd collocare in Parlamento mogli, figli, amanti e portaborse? Piero Fassino vi ha collocato la moglie, Totò Cardinale la figlia, Franceschini il portaborse, Prodi il portavoce e via “porcellizzando”.
E che fine ha fatto la proposta lanciata di Walter Veltroni, l'Africano, di dimezzare il numero dei parlamentari e di ridurre drasticamente a quelli rimasti l'indennità parlamentare, una delle più alte se non la più alta del pianeta, lanciata in una delle tante tornate elettorali?
Conclusa la campagna elettorale, il “nostro” Walter se ne è candidamente scordato. Demagogia pura!
Oggi si chiedono sacrifici agli Italiani. Le società internazionali di rating, come Moody's, minacciano di abbassare il giudizio di credibilità finanziaria del nostro Paese. Si programma una manovra finanziaria di 40 miliardi di euro, con tagli di spesa in tutti i settori della nostra economia. Tranne ovviamente che nella spesa per la politica.
Anzi i nostri furbetti del parlamentino ci raccontano a volte che si autoriducono le indennità parlamentari, per poi aumentarsele con leggine nascoste spesso in provvedimenti omnibus, dove sono inserite migliaia di disposizioni in materia finanziaria, per cui sperano che l'imbroglio passi inosservato. Patetica speranza. Oggi c'è Internet.
Qualche tempo fa circolavano sul web notizie su prebende e privilegi dei parlamentari italiani.
Benvenuta, quindi, l'iniziativa del comitato per la raccolta delle firme per l'abrogazione del “Porcellum” http://referendumleggeelettorale.it/
Riteniamo che il numero di 500 mila firme, da raggiungere entro il 15 settembre, sarà abbondantemente superato, data la rabbia che circola tra gli elettori che si sentono espropriati del diritto di voto.
L'attuale sistema elettorale li ha ridotti a semplici ratificatori di scelte fatte non da loro ma da qualcun altro, sopra le loro teste.
E sono arrivate subito le reazioni scomposte del potere, di destra e di sinistra, contro l'iniziativa referendaria.
La legge “Porcellum” fa infatti comodo a tutti.
Questi burosauri della politica non hanno capito che il vento è cambiato.
Stanno tentando di restare abbarbicati alle poltrone, come il granchio allo scoglio.
Manderanno i lacché di regime a spiegare che, rispetto a questa legge elettorale, indietro non si torna, prometteranno che saranno loro stessi a modificarla ma non lo faranno mai.
Fin quando arriverà il giorno del referendum.
E saranno tempi duri per i furbetti del parlamentino.
Gaetano Gaziano.
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lunedì 13 giugno 2011

REFERENDUM, SCONFITTE LE LOBBY E I LORO SUPPORTERS

Lo straordinario esito dei referendum decreta la sconfitta delle lobby affaristiche nazionali e internazionali e dei loro supporters, che sono presenti in gran numero in tutti i partiti, in tutti i sindacati e in tutti i media.
Alla distanza di 24 anni, da quando cioè gli Italiani bocciarono con un referendum l'uso dell'energia nucleare nel nostro Paese, Claudio Scajola, rampante ex-ministro dello sviluppo economico di Berlusconi, quello dell'appartamento comprato a sua “insaputa”, ha fatto approvare un piano per il ritorno al nucleare. Ovviamente il piano non era del rampante ministro, ma delle lobby dell'energia francesi alleate con quelle italiane.
I politici, infatti, non sono altro che strumenti esecutivi delle lobby.
Sembrava che il disastro di Fukushima avesse raffreddato gli entusiasmi nuclearisti, ma, passata la prima ondata emotiva, si sono presentati il nano Sarkozy, commesso viaggiatore del nucleare, e il nano Berlusconi a dirci, in conferenza stampa televisiva, che il nucleare in Italia si può fare.
E il referendum? No problem, assicurò il nano italiano: abbiamo fatto una leggina che sospende per un anno il piano energetico nucleare e quindi il referendum non si fa più.
Gli arroganti nani sono stati puniti, però, dalla Corte di Cassazione.
Il referendum si è fatto.
Che scoppola, ragazzi.
Ad essere sconfitti sono oggi i due nani e i cortigiani (ministri, sottosegretari e ballerine) che gravitano attorno a loro ma soprattutto attorno agli interessi delle lobby dell'energia.
Ma perché avremmo dovuto dare ascolto alla Santanché, rifatta e siliconata, o a Chicco Testa, ex presidente di Legambiente, poi “folgorato” sulla via del nucleare, piuttosto che al fisico Carlo Rubbia o all'economista Jeremy Rifkin, che ci dicono che il nucleare è pericoloso e dispendioso, mentre dovremmo puntare tutto sulle energie rinnovabili? Come dare loro torto.
In Germania, che si appresta a chiudere le centrali nucleari, con le fonti energetiche rinnovabili (prevalentemente il fotovoltaico) producono già l'energia che si potrebbe produrre con 4 centrali.
In Italia, dove pure siamo molto indietro rispetto alla Germania, con quel poco di energia da fonti rinnovabili che abbiamo installato riusciamo a produrre tanta energia quanta se ne potrebbe produrre con una centrale nucleare.
E nell'arco di 20 anni, tanti ne servono per costruire nuove centrali nucleari, e con un investimento di 20 miliardi di euro, che servono per costruire 4 centrali nucleari, quanti impianti fotovoltaici potremmo installare?
Occupazione: in Germania già lavorano nelle fonti rinnovabili più di 300 mila addetti.
In Italia si prevedeva un analogo boom occupazionale fino a quando un malaugurato provvedimento del nostro governo ha bloccato, in attesa di ridimensionarli, gli incentivi alle imprese del settore.
Ora si spera che, dopo la sberla referendaria, i nostri governanti puntino dritto all'energia da fonti rinnovabili, da affiancare a quella derivante da fonti fossili (petrolio, gas e carbone) con l'obiettivo di sostituirle nel tempo completamente, come stanno facendo in Germania.
Questa è la strada indicata dagli Italiani.
E' auspicabile che i nostri governanti, l'opposizione e i media abbiano appreso la lezione.
Con riferimento a questi ultimi mi piace sottolineare che la vera informazione non la fanno loro ma prevalentemente i media on line, giornali e blog, compreso questo che state leggendo.
Gaetano Gaziano.
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giovedì 9 giugno 2011

RIGASSIFICATORE, SINDACATI FORAGGIATI DA CONFINDUSTRA

Leggiamo che i sindacati di categoria hanno preso posizione a favore del rigassificatore sotto la Valle dei Templi di Agrigento e che addirittura domani faranno un sit-in davanti al Municipio di Agrigento, per chiedere a Zambuto, che notoriamente si è schierato contro l'impianto industriale per tutelare giustamente gli interessi della nostra città, di recedere dalla sua contrarietà, perché, a loro dire, il rigassificatore garantirebbe un certo ritorno occupazionale. Niente di più falso.
Le stesse promesse di occupazione erano state fatte a Rovigo per la costruzione del rigassificatore off-shore.
Sapete quanti veneti lavorano nell'impianto di Rovigo? Uno! Tutti gli altri, una sessantina in tutto, sono di fuori.
E' addirittura patetica la promessa che a Porto Empedocle potrebbero attraccare le navi da croriera. Quale comandante farà attraccare la propria nave accanto ad una nave gasiera da 160 mila mc.e a breve distanza di due enormi cisternoni del gas da 320 mila mc?
E allora perché ci raccontano queste storielle i sindacati?
Cui prodest? A chi giova la loro posizione?
Certamente ad Enel che dovrebbe realizzare l'impianto, che si è vista già bocciare il progetto dal Tar del Lazio il 14 dicembre.
Ora, mentre pende il ricorso al Consiglio di Stato che giorno 14 giugno dovrà dare la sentenza di appello, arriva questo “aiutino” ad Enel.
Non sappiamo quanto sia voluto o inconsapevole.
La verità è che, come ho detto prima, la favoletta dell'occupazione non regge più. I rigassificatori sono impianti industriali ad alta concentrazione di capitali e a bassissimo livello occupazionale. Tra l'altro con i profitti garantiti.
Una “generosissima” delibera dell'Autorità per l'Energia e il Gas sancisce, infatti, che alle società che gestiscono rigassificatori verrà garantito comunque l'80% dei ricavi di riferimento (3 miliardi di euro l'anno per Rovigo come per Porto Empedocle) anche se gli impianti dovessero restare inattivi. E ciò per vent'anni, ponendo la spesa sulle bollette degli Italiani.
E volete che su questo ghiotto business non si riversassero gli sciacalli della finanza internazionale?
Per restare all'esempio del rigassificatore off-shore di Rovigo, l'italiana Edison ha solo il 10% del capitale azionario, mentre il 45% appartiene all'emiro del Qatar e l'altro 45% all'americana Exxon.
Quindi l'Italia, che è sempre in bilico tra i Paesi industrializzati occidentali e il Terzo Mondo, farà beneficenza al “povero” emiro del Qatar e ai “poveri” Rockefeller proprietari della Exxon.
Risulta pertanto incomprensibile l'atteggiamento dei sindacati di categoria.
Certo è che, se il segretario generale del sindacato autonomo Fismc, Roberto Di Maulo, ha dichiarato, in un'intervista a "Il Giornale" di Sallusti, che i “sindacati sono foraggiati da Confindustria”, qualche buon motivo dovrà pure averlo avuto.
Ma per fortuna oggi il vento sta cambiando e lo vedremo lunedì con i risultati dei referendum.
E, se anche Bersani (che stupido non è) ha cambiato idea sull'energia nucleare (prima era favorevole) sulla spinta della forte pressione democratica dal basso, non disperiamo che anche i sindacati possano rivedere la loro posizione sul rigassificatore “Valle dei Templi di Agrigento".
Gaetano Gaziano.
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mercoledì 8 giugno 2011

REFERENDUM BUONE PROBABILITA' DI RAGGIUNGERE IL QUORUM

Buone notizie: secondo l'ISPO, l'istituto sondaggistico di Renato Mannhaimer ci sono buone probablità che si raggiunga il quorum ai referendum del 12 e 13 giugno.
Il 12 e il 13 giugno, rispettivamente dalle 8 alle 22 e dalle 7 alle 15, si votano 4 referendum abrogativi: due sulla privatizzazione dei servizi idrici, uno sul nucleare e un altro sul legittimo impedimento.
Perché li risultato possa esser validato, è necessario che si rechi alle urne il 50 per cento + 1 degli elettori aventi diritto. Un eventualità che, di norma, in Italia, non si verifica, dato l’elevato disinteresse per un istituto di cui, a detta dei più, si è abusato, mentre avrebbe dovuto rappresentare uno strumento da usarsi in via del tutto eccezionale come correttivo delle distorsioni della democrazia partecipativa.
In questa tornata referendaria, tuttavia, in molti scommettono che il quorum sarà raggiunto.
Lo fa pensare il quesito sul nucleare che, sulla scorta dell’onda emotiva provocata dal disastro di Fukushima, viene percepito come incalzante.
Lo pensa l’istituto sondaggistico di Renato Mannheimer, l’ISPO, il quale afferma che ci sono buone probabilità di raggiungimento del quorum.
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lunedì 6 giugno 2011

REFERENDUM: PERCHE' E' IMPORTANTE IL VOTO DEL 12 E 13 GIUGNO

I referendum del 12 e 13 giungo sono doppiamente importanti per noi agrigentini, come italiani e come agrigentini.
Come italiani non possiamo e non dobbiamo consentire che alcuni esponenti di individuate cricche affaristico-lobbistiche, sostenuti dai loro servi (i politici di destra e di sinistra), decidano su materie di vitale importanza come l'acqua e il nucleare, passando sulla testa della popolazione.
Con l'aiuto di prezzolati “esperti”, ci vogliono convincere che è giusto che l'acqua, bene prezioso e indispensabile, venga gestito dai privati che possono assicurare un servizio più economico e più efficiente.
Niente di più falso! E noi agrigentini lo sappiamo bene per averlo sperimentato sulla nostra pelle: abbiamo il servizio idrico peggiore d'Italia e le tariffe più alte.
Per quanto il riguarda il nucleare, non può essere di certo quel nano di Sarkozy a decidere che in Italia si debbano costruire almeno 4 centrali nucleari.
Se le costruisca in Francia, in Italia decidiamo noi!
Come non può decidere il Berlusca che, in una conferenza congiunta con il nano francese, ha candidamente e arrogantemente affermato che la normativa adottata recentemente non era per revocare la decisione di costruire le centrali nucleari ma solo per sospenderle in attesa di tempi più “tranquilli”.
Poverino, il nano italiano!
Si vedeva benissimo che, mentre parlava, aveva un'arma puntata dietro le spalle. Quest'arma è la rilevante quota del debito pubblico italiano chiusa nelle casseforti dello stato francese.
Ma se, da una parte, il premier italiano e i suoi sodali di governo subiscono questo umiliante ricatto, dall'altra c'è il popolo italiano che non si farà mettere il giogo nucleare dagli arroganti francesi.
E ciò faremo con un'arma ben più potente di quella atomica di cui dispone il bombarolo Sarkozy: i referendum italiani!
Del resto anche Bossi, il principale alleato di Berlusconi, ha affermato duramente “non possiamo diventare una colonia francese”.
E bisogna pure dare atto a Bossi di aver dichiarato che è giusto che i cittadini si esprimano attraverso i referendum. Lui si riferiva specificamente a quello relativo alla privatizzazione dell'acqua, perché sa benissimo che gli italiani sono determinati a votare tutti i referendum, compreso quello sul nucleare e quello sul legittimo impedimento tanto temuto dal premier.
Per quanto riguarda Bersani, che ben venga il suo cambiamento di idee in materia di nucleare.
Ricordiamo che fino a qualche tempo fa il “compagno” Pierluigi era favorevole alle centrali nucleari. Basta vedere una sua intervista di poco tempo fa, che circola sul web, in cui si esprimeva in tal senso, anche se con un'espressione finto-sofferta, che può riassumersi così (per dirla alla Crozza): “Oh ragazzi, stiamo qui a ciurlar nel manico? Del nucleare abbiamo bisogno!”.
Anche i suoi compagni di partito non mi pare che si stiano stracciando le vesti per invitare la gente ad andare a votare, come del resto non se le stanno stracciando i sindacati.
E, se ci può stare che la Marcegaglia gridi allo scandalo per la bocciatura da parte del Consiglio di Stato della centrale a carbone di Porto Tolle (lei fa gli interessi di Confindustria), ci sta un po' meno che La Repubblica, giornale “de sinistra”, lanci l'allarme (vedi l'edizione del 30 maggio 2011) per tutte le grandi opere bloccate in Italia, a suo dire, per l'effetto Nimby (non nel mio giardino). Ah, dimenticavo l'ingegner De Benedetti, proprietario del giornale, ha forti interessi nella centrale a carbone di Vado Ligure e nel rigassificatore di Gioia Tauro.
Quindi, via libera per La Repubblica a tutte le grandi opere, anche a quelle dell'ingegnere ovviamente.
E chi se ne importa della salute dei cittadini...
Per noi agrigentini, infine, è importantissimo andare a votare il 12 e il 13 giugno, perché, come si è capito benissimo, la nostra provincia è considerata una provincia "babba" dai rappresentanti delle cricche affaristico-lobbistiche, tanto che hanno arrogantemente programmato di collocarvi alcune “grandi” opere per il nostro “meraviglioso” sviluppo economico: un termovalorizzatore a Casteltermini, una mega discarica di rifiuti ad Aragona, un rigassificatore sotto la Valle dei Templi e una centrale nucleare a Palma Montechiaro.
Tuttò ciò con l'avallo e il supporto dei nostri politici (di destra e di sinistra) e dei sindacalisti bianchi o rossi che siano.
Ecco perché è importante andare a votare il 12 e il 13 giugno: per stoppare le bramosie nucleari del nano Sarkozy, le arroganze dei nostri governanti, i tentennamenti dell'opposizione, le connivenze dei sindacati e i business delle lobby affaristico-lobbistiche.
Gaetano Gaziano.
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giovedì 2 giugno 2011

RIGASSIFICATORE: SVENTATO BLITZ AL COMUNE DI AGRIGENTO

Ieri, come ho comunicato nel precedente post, era stata inserita all'odg del consiglio comunale di Agrigento, all'8° punto, l'approvazione del progetto del metanodotto di collegamento tra il rigassificatore che dovrebbe essere costruito a Porto Empedocle sotto la Valle dei Templi di Agrigento e la rete nazionale del gas.
I lettori di questo blog sanno che la mia associazione unitamente ad altre asssociazioni ed enti, compreso il Comune di Agrigento, si sta battendo per bloccare l'ignobile progetto dell'ecomostro in zona archeologica.
Il Tar del Lazio, in prima istanza, ci ha dato ragione e in questo momento il Consiglio di Stato sta decidendo gli appelli proposti da Enel e dal Comune di Porto Empedocle. Pertanto aver visto l'inserimento dell'approvazione del progetto del metanodotto ci ha molto allarmati, per cui abbiamo chiesto in giro spiegazioni su questa incredibile mossa del Comune di Agrigento.
Nessuno ci ha saputo dire chi avesse messo all'odg del consiglio comunale il contestato argomento.
Alla fine la responsabilità è stata quasi addossata al dirigente comunale dell'urbanistica.
Il fatto resta incredibile perché non si riesce a comprendere come un dirigente possa farsi promotore di una tale iniziativa politica senza avere consultato prima l'Assessore comunale di riferimento e il Sindaco.
Ma l'improvvida iniziativa si è trasformata in boomerang per chi sperava di ribaltare il giudizio del Tar Lazio, che si fonda sull'estromissione del Comune di Agrigento dal procedimento autorizzativo del rigassificatore, facendo approvare dal consiglio comunale il progetto del metanodotto.
Il consiglio comunale invece ha deliberato all'unanimità dei consiglieri (con solo tre astenuti) di bocciare il progetto del metanodotto.
E questo è davvero sorprendente, ove si consideri che due anni fa il consiglio comunale in una seduta straordinaria aperta al pubblico si era pronunciato a favore del rigassificatore, anche se il provvedimento non aveva valore giuridico perché la riunione aveva solo carattere di dibattito pubblico.
Oggi il consiglio comunale delibera all'unanimità il voto contrario al metanodotto.
E questa sì ha valore giuridico di bocciatura.
Ciò vuol dire che il lavoro delle nostre associazioni ha avuto successo nell'informare l'opinione pubblica sulla pericolosità del rigassificatore e il risultato è evidente e si può riscontrare nella mutata sensibilità anche della classe politica agrigentina
Gaetano Gaziano.
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