domenica 28 settembre 2008

Familismo amorale nelle stanze del potere siciliano


Esattamente 50 anni fa il sociologo americano Edward C. Banfield coniò l'espressione "familismo amorale" proprio con riferimento alla realtà meridionale italiana dove era molto diffusa la pratica deleteria di sistemare nella pubblica amministrazione parenti, amici e amici degli amici. Lo scandalo odierno della parentopoli siciliana ci dice che l'abitudine amorale, non solo non si è ridimensionata, ma addirittura è stata "istituzionalizzata" accompagnata da una scientifica logica spartitoria da manuale Cencelli
Per la giunta Lombardo, che aveva proclamato in campagna elettorale propositi di rinnovamento e di razionalizzazione della spesa regionale accompagnati da roboanti propositi di risveglio dell'orgoglio siciliano, non è stato un buon incipit, anzi
Il Brunetta siciliano ha toppato clamorosamente. Giovanni Ilarda (nella foto accanto), ex magistrato, nominato assessore regionale alla presidenza, con il compito specifico di moralizzare la macchina burocratica e dare la caccia ai fannulloni, scivola sull'assunzione della figlia Giuliana come dirigente alla regione per chiamata diretta, con contratto quinquennale e con la retribuzione di 75 mila euro l'anno (come primo incarico non è male!). L'assessore Ilarda ha giustificato l'assunzione della figlia che, a suo dire, avrebbe avuto tutti i titoli per la “chiamata diretta”. Peccato però che nessuno ha fatto una pubblica selezione per valutare coloro che magari avevano più titoli della "brillante" Giuliana. Il Brunetta siciliano, come era stato definito Ilarda prima dello scivolone, intervistato (a "la Repubblica" del 23 settembre-pagine regionali siciliane) su quali provvedimenti “alla Brunetta” avesse adottato contro i fannulloni, ha risposto "li stiamo studiando".
E mentre Ilarda “studia”, si ricorda che la regione siciliana ha dipendenti per più di sei volte di quelli della Lombardia, i dirigenti addirittura sono dieci volte di più. E cosa fa la regione? Invece di ridimensionare gli organici, tagliando i fannulloni, procede a nuove assunzioni, peraltro lautamente retribuite, di figli, fratelli e parenti vari di assessori e consiglieri regionali. Una cospicua percentuale è stata riservata a politici siciliani trombati nelle varie elezioni (e un buon numero di loro è stato assunto proprio da Giovanni Ilarda).
Vero è che la giovane Ilarda, dopo le proteste sindacali, si è dimessa, ma il caso è servito a scoperchiare il vaso di Pandora della parentopoli siciliana. Paradossalmente lo scivolone di Ilarda ha ottenuto quell'effetto di trasparenza che invece avrebbe voluto ottenere con la sua azione antifannulloni ancora allo “studio”. Infatti ha messo a nudo tutti gli intrecci perversi, antichi e nuovi, che la “casta” dei politici siciliani (anche quelli di sinistra hanno i loro scheletri nell'armadio) ha tessuto per affollare il carrozzone regionale di “brillanti” fannulloni.
A questo punto ci chiediamo qual è la strategia di risanamento della giunta Lombardo?
Non si riducono le indennità ai consiglieri e agli assessori regionali (la Corte dei Conti ha stimato che negli ultimi anni sono aumentate del 114%), non si ridimensiona la spesa per il personale, che anzi come visto viene gonfiata, né si riducono le aziende regionali, che invece continuano a servire come agenzie private di collocamento di clientes e famigli, e di contro si taglia la spesa per servizi indispensabili: posti letto negli ospedali, buoni per acquisto libri, assistenza agli anziani, agli handicappati, eccetera.
Dato l'elevato numero di dipendenti pubblici, collaborati da un innumerevole (e segreta) schiera di consulenti, dovremmo avere assicurati i migliori servizi del Paese, invece siamo nelle ultime posizioni della graduatoria per regioni quanto a servizi pubblici. La verità è che il carrozzone Regione altro non è che uno stipendificio di una pletora innumerevole di impiegati, molti dei quali fannulloneggiano in attesa del ventisette. E intanto l'assessore Ilarda sta “studiando” i provvedimenti antifannulloni.
Bisogna pure precisare che nessuna categoria o "casta" risulta immune da questo "vizietto", neppure il sindacato, che pure ha fatto scoppiare il caso. Sindacalisti e parenti di sindacalisti rappresentano una buona percentuale delle assunzioni "per chiamata diretta" nella pubblica amministrazione siciliana.
Con buona pace per Raffaele Lombardo, Giovanni Ilarda e compagnia cantando, non era questa l'azione moralizzatrice e di contenimento della spesa che si attendevano gli elettori siciliani. Rispetto a 50 anni fa niente di nuovo sotto il sole.
Gaetano Gaziano
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sabato 20 settembre 2008

Stop alla "tv-monnezza"!


Con l'arrivo dell'autunno cadono le foglie e tornano, ahinoi, i programmi televisivi dei “grandi fratelli”, delle “isole dei famosi”, dei reality insomma, che con un termine molto british sono stati definiti “tv-trash” e con un termine molto colorito “tv-monnezza”, per dirla con i napoletani che di spazzatura si intendono.
La monnezza a Napoli era arrivata ai piani alti, la “tv-monnezza” ce l'abbiamo fin sopra i capelli. Per salvare Napoli dalle montagne di ecoballe c'è voluta la protezione civile. Chi ci salverà dalla “tv-monnezza”?
Il critico televisivo del Corriere della Sera, Aldo Grasso, ha stigmatizzato, parlando dell'isola dei famosi, questo genere di spettacoli, affermando: “Simona Ventura malauguratamente ha perso l'antica autoironia che le riconoscevamo, si veste e agisce come una Vanna Marchi rivisitata da Briatore, è diventata una cinicona, condizione indispensabile per trattare i concorrenti come dipendenti e fare della sociologia con i poveri cristi in cerca di fama”.
Poteva mai pensare nel 1964 Marshall Mc Luhan, l'originale studioso delle comunicazioni di massa, a questi effetti aberranti, quando parlò di “villaggio globale”? Oggi è globalizzata non solo la comunicazione ma anche la “tv-monnezza” e infatti questi format dei “grandi fratelli” hanno successo in tutto il mondo, anche se di questi tempi hanno subìto (e per fortuna) un notevole calo di ascolti.
Una scuola di pensiero, che risale agli illuministi francesi per arrivare ad alcuni importanti intellettuali del Novecento, Brecht in testa, sosteneva la funzione sociale ed educativa degli spettacoli (del teatro in particolare). Oggi questa teoria è in disuso, anzi la televisione è stata accusata di essere “cattiva maestra” (Karl Popper). Se non si può pretendere che gli spettacoli televisivi abbiano oggi una funzione educativa, non si può accettare comunque la loro deprimente e devastante capacità diseducativa che inevitabilmente esercitano sui telespettatori. Questi programmi sono pieni di gratuite volgarità, di rutti e di turpiloqui in diretta televisiva.
Cosa potrà salvarci da questa indecorosa produzione?. Popper proponeva una sorta di censura preventiva, oggi difficilmente praticabile.
Un mio intelligente amico di Lampedusa, Francesco Di Luigi, edicolante-scrittore (più scrittore che edicolante), propone che la gente di televisione dovrebbe fare una specie di giuramento di Ippocrate, come quello dei medici. La simpatica battuta ripropone comunque l'eterna esigenza di un codice di autoregolamentazione di chi fa televisione.
Se ne è sempre parlato ma è servito a ben poco dati gli interessi miliardari legati al business della pubblicità televisiva.
Penso invece (ironicamente) che a salvarci sarà King Kong che ha già battuto Berlusconi che è, per antonomasia, “il grande fratello” di orwelliana memoria, in quanto proprietario di televisioni, di radio e di giornali. Ce ne ha dato notizia il Corriere della Sera, informandoci che, lunedì 15 settembre, Berlusconi ospite principe della trasmissione televisiva “Porta a porta” di Bruno Vespa è stato superato negli indici di ascolto proprio da un film su King Kong. E bravo King Kong!
Gaetano Gaziano
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martedì 16 settembre 2008

Lampedusa isola per teatranti secondo Diderot


«AH! Amici miei, se andassimo finalmente a Lampedusa, a fondare una piccola comunità di gente felice in mezzo al mare, lontano dalla terra!».Lo propose a metà del Settecento Denis Diderot, l'illulstre enciclopedista, come ci ha riferito Roberto Giambrone nel suo dotto articolo su “La Repubblica” del 13 luglio 2008- pagine regionali siciliane- dal titolo “Lampedusa, l'isola dei comici”.
Ricordiamo che nella Francia del Sei-Settecento per comici si intendevano tutte le persone di teatro, non solo coloro che erano impegnati in lavori buffi, e si intendeva per capo-comico l'autore dell'opera che al tempo tempo stesso era regista e attore della pièce messa in scena. Il capocomico, certamente più famoso della storia del teatro, è Moliere che operò alla corte di Versailles al tempo del Re Sole. E proprio ad una comunità di teatranti in effetti pensava Diderot quando la indicava come sede ideale per una piccola comunità felice. Infatti affermava «lì gli attori sarebbero i nostri predicatori e non dubitate che li sceglieremmo con la cura richiesta dall'importanza del loro ministero». Il riferimento agli attori come predicatori rinvia necessariamente al mondo della politica di oggi, in quanto soprattutto di predicatori è fatta la casta di chi ci amministra (governo e opposizione). La politica, è inutile negarlo, oggi ha più i contenuti dello spettacolo che della gestione della cosa pubblica. Il teatrino della politica, dunque. Basti pensare che per i politici tutti è più importante andare a “Porta a porta” di Vespa o a “Matrix” di Mentana o a tanti altri talk-show piuttosto che fare un intervento in Parlamento. Oggi conta di più l'apparire che il fare. I risultati concreti per i politici non contano più. Per restare a casa nostra, c'è chi ad Agrigento si è costruita la propria fortuna politica sulla promessa dell'aeroporto. Orbene l'aeroporto non è stato costruito (e forse non lo sarà mai). Ma incredibilmente chi l'ha promesso è stato premiato con un seggio alla Camera dei deputati. Molti politici (mi riferisco ai leader di partito, qualcuno di loro oggi riveste alte cariche istituzionali) sono andati alle trasmissioni televisive di avanspettacolo di Pippo Franco a prendersi le torte in faccia, pur di avere il loro momento di notorietà. Non so se Diderot aveva previsto anche questi effetti aberranti quando parlava di “attori-predicatori” però avvertiva che sarebbe stata necessaria una “particolare cura” nella scelta dei predicatori (e i politici, bisogna ammetterlo, sono abilissimi predicatori), lasciando intendere, suppongo, che se avessero dato cattiva prova di sé avrebbero avuto subito il ben servito. Oggi, come abbiamo visto, avviene esattamente il contrario: sono premiati!
Vediamo di capire, ora, perché Diderot individua in Lampedusa il luogo ideale per teatranti.
Intanto, bisogna ricordare che, al tempo di Diderot, Lampedusa non era stata ancora colonizzata: lo sarà solo il secolo successivo per volere di Ferdinando II di Borbone. Il pensatore illuminista aveva una conoscenza della più grande delle Pelagie abbastanza curiosa e divertente, come si ricava da un passo dei “Colloqui”, che riportiamo: «La Lampedusa è un' isoletta deserta del mar d' Africa, situata più o meno a metà strada tra la costa di Tunisi e l' isola di Malta. è ricchissima di pesca, è coperta di olivi selvatici, la terra è fertile. Il frumento e la vite attecchirebbero. Invece non è mai stata abitata da altri che da un marabutto (religioso musulmano, n.d.r) e da un cattivo prete. Il marabutto aveva rapito la figlia del bey di Algeri, si era rifugiato lì con la sua amante, e vi aveva trovato salvezza. Il prete, frate Clemente, ha passato dieci anni a Lampedusa, e fino a poco tempo fa ci viveva ancora. Aveva del bestiame, coltivava la terra. Chiudeva le provviste in un sotterraneo e andava a vendere il resto sulle coste vicine, dove se la spassava finché i soldi gli duravano. Nell'isola c' è una chiesetta, divisa in due cappelle, che i maomettani venerano come tombe del santone e della sua amante. Frate Clemente aveva consacrato una cappella a Maometto e l' altra alla Santa Vergine. Se vedeva arrivare una nave cristiana accendeva la lampada alla Vergine. Se il vascello era maomettano, subito spegneva la lampada della Vergine e ne accendeva una per Maometto». Esempio di furbizia o di vigliaccheria? Oggi diremmo: né l'una né l'altra cosa, piuttosto un pragmatico tentativo di multiculturalismo ante litteram, di incontro non traumatico tra religioni. Se le diverse fedi religiose avessero seguito, nella Storia, l'esempio del simpatico frate Clemente molte guerre di religione (con milioni di morti) probabilmente non sarebbero state combattute, certe drammatiche pulizie etniche evitate. E in questa direzione sembra anche andare la spiegazione che ne dà la storica del teatro, Mirella Schino, nel suo recente saggio “Storia e Teatro” (Bulzoni Editore 2008): cioè la posizione di liminarità, di confine tra due culture diverse quella cristiana e quella musulmana, avrebbe convinto Diderot della possibilità che a Lampedusa si incontrassero teatranti di scuole, di ideologie e di lingue diverse, che potessero costituire (diremmo oggi) quella “melting pot” artistica, quella fusione di sensibiltà e di credenze che potrebbe essere una buona base di partenza per un progetto più ampio di tolleranza e di pace universali.
Si è sempre pensato, tra l'altro, a un luogo ideale per la nascita di un Teatro del Mediterraneo
La proposta di Diderot di una Lampedusa come luogo ideale per una comunità di teatranti, a questo punto, potrebbe far pensare a essa come sede permanente di questo teatro.
Peraltro gli spettacoli di “Oh Scià”, che da alcuni anni vi radunano decine di migliaia di appassionati fans, possono essere considerati “in nuce” i primi esperimenti del vagheggiato Teatro del Mediterraneo. Gli spettacoli di “Oh Scià” non hanno ancora respiro internazionale, ma nulla toglie che possano acquisirlo in futuro, nel senso però di attrarre a Lampedusa masse di giovani da tutti i paesi rivieraschi del Mediterraneo agli spettacoli che si organizzeranno e non il contrario, cioè di portare gli spettacoli negli altri paesi. Così operando si otterrebbero due risultati: quello importante dell'incontro di civiltà e culture diverse sempre nello stesso luogo, che sarebbe dispersivo e impossibile da concretizzare se si cambiasse ogni anno la località che ospita il teatro, e il risultato non meno importante di rilanciare l'economia di Lampedusa che in questi ultimi anni è stata molto penalizzata in quanto, suo malgrado, è stata palcoscenico di rappresentazioni di altri drammi, questa volta non teatrali ma umani, con lo sbarco continuo di disperati alla ricerca di una vita dignitosa.
Gaetano Gaziano
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giovedì 11 settembre 2008

Il rigassificatore a Porto Empedocle: perché non costruirlo off-shore?

-Articolo dell'economista Pietro Busetta:
L’immagine della grande rigassificatore-piattaforma che attraversa il Mediterraneo è di quelle che rimangono impresse: dal porto di Algeciras in Spagna, vicino a Gibilterra, compirà un lungo viaggio attraverso tutto il Mediterraneo passando anche davanti alle coste siciliane, per essere ancorato davanti al porto di Rovigo.
L'impianto, voluto dalla Edison e poi passato alla Gnl Adriatico s.r.l., produrrà un quantitativo di 8 miliardi di mc. all'anno, pari al 10% del fabbisogno nazionale
D’altra parte i venti di guerra che spirano dalla Georgia ci fanno capire come la questione energia sarà al centro dei prossimi equilibri geo-politici negli anni 2000. Lo sviluppo di paesi come la Cina e l’India, che da soli rappresentano un terzo della popolazione mondiale, non potrà non passare per una tensione sui prezzi e per le forniture di energia, anche se l’occidente si sta avviando, in realtà faticosamente e in ritardo, verso forme di energia alternative e sta differenziando le fonti: cioè non solo petrolio, ma carbone, eolico, solare, ritorno al nucleare e appunto gas. Una serie di gasdotti attraversano l'Europa innervando sia la parte terrestre che quella marina. In particolare il Mediterraneo e la Sicilia sono diventati nodi strategici di tutte le forniture con i due grandi gasdotti, quello algerino e quello tunisino che portano gas al terminale di Mazara del Vallo e di Gela. Questo gas serve tutto il Paese e sale lo stivale attraverso gasdotti che portano la fonte energetica laddove è necessaria. In realtà la parte che ne consuma maggiormente è proprio quella del Nord, la locomotiva della nostra nazione. Ma far arrivare il gasdotto sottomarino a La Spezia o a Trieste sarebbe stato assurdo perché è molto meno costoso un gasdotto da interrare di uno che viaggia negli abissi marini. Ovviamente sono infrastrutture, queste, con costi nell’ordine di miliardi di euro ma società, come l’Eni, li hanno affrontati con decisioni rapide, prese da poche persone nei rispettivi consigli d’amministrazione che, fiutando il grande affare dell’energia, hanno impostato le loro politiche produttive per ritrovarsi pronte in tempo con sufficiente prodotto da vendere al mercato domestico ed a quello internazionale. La Sicilia ha un grande interesse nel settore energetico. Infatti, oltre alle grandi raffinerie come quella di Milazzo, di Priolo, di Gela e ai due grandi metanodotti, abbiamo anche l’estrazione di gas sia all’interno del territorio (si ricorderanno le problematiche sorte con la Phanther Oil per i pozzi nel territorio ragusano) che i giacimenti di gas off-shore al largo sempre di Ragusa e di Porto Empedocle, nonché l’estrazione di petrolio nell'ennese e a Gela. Un contributo importante alla formazione del Pil siciliano sia in termini di occupati che di formazione di valore aggiunto e di prelievo fiscale, anche se la maggior parte di esso finisce nel calderone centrale ed infatti è oggetto di controversia con la Stato. Si tratta della problematica delle accise che con il federalismo fiscale andrà certamente risolta. E’ un arma quella dell’energia che si è tentato, inutilmente e con poco successo, di giocare con Roma. In molti ricorderanno la cosiddetta tassa sul tubo di cuffariana memoria che poi la Regione si è dovuto rimangiare. Ma il problema rimane quello di un ipotetico conto della serva: di quanto utile rimanga, cioè, tra costi in termini di inquinamento atmosferico, di danno alla salute, di inquinamento paesaggistico e ricavi in termini di posti di lavoro, di entrate per la regione, di autonomia energetica, eccetera.
Ed allora bisognerà ragionare sulla struttura energetica esistente, della quale i costi sono certi purché lo siano anche i ricavi, ma anche sul progettuale eolico, che Lombardo ha in parte liberalizzato, sulle nuove estrazioni di gas nel ragusano, che pare siano assolutamente non inquinanti dal punto di vista ambientale, sui nuovi rigassificatori, tenendo presente che i no indiscriminati non pagano ma che i sì generalizzati svendono il territorio.
Per quanto riguarda i rigassificatori, la Sicilia è coinvolta con quello di Priolo e quello di Porto Empedocle, ancora da costruire. Premesso che la Sicilia, con le raffinerie ed i gasdotti di cui si è parlato, è esportatrice netta di energia e che il gas andrebbe liquefatto vicino ai mercati di consumo, come sostiene Davide Tabarelli responsabile di Nomisma Energia, diventa assodato che il motivo per cui si progettano a Priolo e a Porto Empedocle è perché le altre comunità, in Italia, non li vogliono. Ma allora, visto che si è convinti, a destra come e sinistra, che i rigassificatori in Sicilia devono essere realizzati, perché non imporre almeno che quello di Porto Empedocle, a ridosso della Valle dei Templi, venga costruito off-shore come quello di Rovigo? In tal modo si salverebbero la capra degli interessi plurimiliardiari della casa costruttrice e quelli della salvaguardia di un patrimonio unico al mondo come quello della Valle, che ha bisogno dei profumi della Kolimbetra piuttosto che della puzza di gas.
Pietro Busetta
-Ospitiamo molto volentieri questo articolo dell'economista Pietro Busetta, pubblicato oggi sul quotidiano "La Sicilia" a pag. 2
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domenica 7 settembre 2008

La circolare Antinoro: Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini...

Ciò che non fecero i barbari, lo fecero i Barberini: dietro questa famosa pasquinata si celava il disappunto del popolo della Roma rinascimentale e papalina contro gli scempi edilizi effettuati dalla potente famiglia di Papa Urbano VIII Barberini, additata pubblicamente come i nuovi barbari.
E, allora, se avessero visto gli scempi di oggi, soprattutto quelli commessi dalle multinazionali petrolifere e dell'energia...
Il ricordo della celebre pasquinata ci riporta ai nostri giorni in cui i nuovi barbari assumono altre vesti, non meno arroganti, anzi di più, forti del loro consenso popolare. La circolare dell'assessore regionale Antonello Antinoro sulla deregulation paesaggistica ha fatto gridare allo scandalo. Su “La Repubblica” di mercoledì 3 settembre- pagine regionali- Guido Visconti, in un suo pezzo dal titolo eloquente “Dal governo regionale un attentato al paesaggio”, ha denunciato con durezza il proposito di selvaggia deregolamentazione in materia di tutela ambientale e territoriale dei nuovi governanti siciliani.
Eccomi: il vero, l'unico e inconfondibile delfino in Sicilia di Totò Cuffaro sono io, Antonello Antinoro, pronto a continuare la politica di “difesa” del territorio e del nostro patrimonio culturale operata dal mio illustre predecessore e dante causa politico!
Lo ha affermato perentoriamente il nostro ineffabile assessore regionale ai beni culturali con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana della sua prima circolare.
Per la verità, un primo, inequivocabile, biglietto di presentazione il Nostro l'aveva già esibito, allorquando aveva effettuato la “felice” sortita di volere assegnare la gestione della Valle dei Templi di Agrigento ai privati.
Dalle pagine di questo blog avevamo avvertito l'opinione pubblica, dopo la composizione della giunta di Raffaele Lombardo e dopo i tanto strombazzati propositi di risveglio dell'orgoglio siciliano, che la collocazione di Antinoro, uomo fidato di Cuffaro, all'assessorato ai bei culturali aveva il preciso scopo di controllare le sovrintendenze siciliane che potrebbero ostacolare (quando e se ne hanno voglia) il disegno neoindustriale dell'ex governatore e la strategia neocolonialista delle lobbies del Nord che hanno fiutato nel business dell'energia il vero affare degli anni Duemila e che vedono nelle sovrintendenze un possibile (anche se debole e facilmente aggirabile) ostacolo ai loro progetti.
Osserva Guido Visconti: “La schizofrenica emanazione di leggi e circolari da parte dei governi regionali di centrodestra in materia di territorio, ambiente, energia, lascia una volta di più senza fiato. La circolare di Antinoro, già definita “salva eolico”, ha un potenziale devastante”. E questa finalità si ricava chiaramente dalle “due paginette scarne ed arroganti (della circolare), con alcune citazioni di giurisprudenza scandalosamente interpretate pro domo sua”.
Ci preoccupa l'affermazione di Antinoro che, citando la Corte costituzionale, parla di tutela intesa in “senso dinamico” tendente a conciliare la salvaguardia dei beni e delle aeree vincolate con le trasformazioni d'uso a scopo produttivo e insediativo.
Questa affermazione, che si sposa con la nuova tendenza dell'ambientalismo del fare (o degli affari) attualmente di moda sia nel mondo del rampantismo di destra che di quello di sinistra, prelude all'ultimo e drammatico assalto a quel che resta delle coste e del paesaggio siciliani ancora non aggrediti.
Infatti avverte Visconti, nel suo pregevole articolo, “il vero intento ed effetto dirompente di deregulation globale è non solo verso le concessioni per la costruzione indiscriminata di impianti eolici, ma verso la definitiva cementificazione di coste e territori di pregio, verso l'installazione deregolamentata di inceneritori, eccetera” e, aggiungiamo noi, verso la costruzione di rigassificatori (uno dei quali a ridosso della Valle dei Templi) che tanto stanno a cuore a Totò Cuffaro.
Ne sono passati di anni da quando Pasquino additava all'opinione pubblica romana come nuovi barbari la potente famiglia dei Barberini. Da allora altri e più gravi scempi sono stati commessi ai danni del nostro territorio e del nostro patrimonio culturale e la recente circolare Antinoro sta tutta lì a testimoniare che le “invasioni barbariche” non sono ancora finite.
Gaetano Gaziano,
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lunedì 1 settembre 2008

"Salvate la Valle dei Templi": lettera aperta ad Angelino Alfano, Michele Cimino, Roberto Di Mauro e Luigi Gentile

Da agrigentini e siciliani, rivolgiamo a Voi agrigentini e siciliani, illustri rappresentanti di istituzioni nazionali e regionali, questo nostro appello per salvare la Valle dei Templi, inserita nella World Heritage List dell'Unesco.
Noi siciliani abbiamo oggi tutte le prerogative morali, storiche e giuridiche per pretendere ciò, respingendo gli stranieri anche se portano doni (timeo Danaos et dona ferentes).
Negli anni Settanta, Giorgio Bassani, fondatore e presidente di Italia Nostra, portò avanti una battaglia ambientale e civile per salvare la Sicilia dalle speculazioni affaristiche e dalle cementificazioni selvagge, impedendo un progetto di raffineria alle pendici di Erice e promuovendo la difesa delle Eolie, tanto amate oggi perché ben salvaguardate.
Noi siciliani dobbiamo dimostrare di essere oggi in grado da soli di sapere tutelare il nostro immenso patrimonio storico, culturale e paesaggistico.
L'organizzazione dello spettacolo di Roberto Bolle, programmato per il 13 settembre nella Valle dei Templi e sponsorizzato dall'ENEL che intende costruire un rigassificatore da 8 miliardi di mc. a Porto Empedocle proprio a ridosso della Valle, con ciò profanandola e irrimediabilmente deturpandola, ha il sapore della beffa, del cavallo di Troia, con cui espugnare la Valle con un'operazione similculturale che nasconde ben altre intenzioni affaristiche che con la cultura confliggono.
Lo spettacolo voluto dal FAI, dinanzi al tempio della Concordia, si presume per rilanciare l'immagine della Valle spesso offuscata da un contesto sfavorevole che va risolto (crisi idrica, mare inquinato, infrastrutture e servizi carenti), ha in sé, purtroppo, un peccato originale: lo stretto legame tra FAI ed ENEL, sponsor influente e convincente.
La presidente Giulia Maria Mozzoni Crespi, dopo aver sposato la causa della difesa della Valle e dello sviluppo economico basato sull'uso produttivo delle risorse culturali, inviando un'accorata lettera aperta all'ex governatore Cuffaro perché da agrigentino facesse un gesto d'amore verso la sua terra, fece dopo alcuni mesi un incredibile “allargamento della riflessione”, interpretato dagli agrigentini come un solenne voltafaccia, ipotizzando che il rigassificatore a ridosso della Valle, costruito dall'ENEL, potesse addirittura diventare “un capolavoro architettonico”.
Ora, che ben venga nella nostra Valle Roberto Bolle, uno dei più acclamati ballerini classici di tutti i tempi, se serve a consacrarla ulteriormente come luogo simbolo, ma per fugare ogni sospetto lo spettacolo dovrà essere sfruttato da tutti i rappresentanti istituzionali come un'irripetibile opportunità per contrastare il tentativo di profanazione della Valle.
L'Enel può e deve fare un passo indietro.
Gli Agnelli, industriali di grande sensibilità culturale, negli anni Cinquanta, recedettero dal progetto concreto e definito di costruire i capannoni della Fiat nella piana di San Gregorio, sotto il tempio della Concordia, da dove, anni dopo, Papa Woijtila avrebbe lanciato il famoso anatema contro la mafia.
Di fronte all'indignazione del mondo della cultura, gli Agnelli costruirono i capannoni Fiat a Termini Imerese.
Voi, egregi Onorevoli, avete la necessaria autorevolezza per operare una sorta di “moral suasion”, affinché l'ENEL, che è una delle più grandi multinazionali mondiali dell'energia ed è italiana, faccia un passo indietro e receda “dall'indecoroso progetto” (così il Prof. Salvatore Settis, Presidente del Consiglio Nazionale dei Beni Culturali, ha definito il rigassificatore di Porto Empedocle).
L'ENEL tenga fede al proprio codice etico che recita “la buona reputazione è una risorsa immateriale essenziale”. Solo così potremo accettare la sua sponsorizzazione come un vero dono e non come foglia di fico per nascondere operazioni indecenti di cui vergognarsi dinanzi alle future generazioni.
Grazie e cordiali saluti,
Gaetano Gaziano
Comitato Salviamo la Valle dei Templi di Agrigento
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