domenica 28 agosto 2011

"Le rouge et le noir"

«Benvenuto, caro Leonardo! Ti stavamo aspettando».
Stendhal accoglie Sciascia, con un largo sorriso.
«Anch’io sono felice di incontrarla, maestro!».
«Alt! In questo luogo non ci sono né maestri né allievi. Niente maîtres à penser!».
«D’accordo Henri, niente formalismi. Consentimi, comunque, di dirti che sono veramente felice di incontrarti. Era da tempo che aspettavo questo momento. Tu conosci l’ammirazione che ho per te».
«Lo so! Ma, del resto, è abbondantemente ricambiata. Quassù, potremo scambiarci le nostre riflessioni direttamente, lontani dal quel fastidioso rumore di fondo di quella che chiamano “vita terrena”». «Finalmente! Sapessi a cosa si è ridotta la comunicazione laggiù: autentica spazzatura! Nelle librerie, poi, i best sellers sono rappresentati dai libri dei comici di successo. Pochissime sono, ormai, le opere di narrativa che valga la pena di leggere».
«Davvero?».
«Sì, mio caro Henri! E questo è per me un grande dolore. Ma veniamo a noi. Sai, è da tempo che volevo chiederti due o tre cose, anche per liberare il campo da alcune perplessità che avanzano gli studiosi delle tue opere».
«So bene a cosa alludi: ai sospetti, neppure tanto larvati, di egoismo, di spregiudicatezza o, addirittura, di cinismo…».
«Ecco, in non volevo dirlo. Ma, visto che sei tu a parlarne…Per esempio, qualcuno ha visto, nelle tue dichiarazioni di amore sperticate per l’Italia, un atteggiamento di comodo, quasi furbesco, per tenerti buona l’intellighentia milanese, visto che tu arrivavi a Milano come sottotenentino dell’esercito napoleonico. Vero è che scendevate in Italia come esercito di liberazione. Ma qualcuno cominciò a parlare velatamente di nuove truppe di occupazione francesi».
«Mi è facile contestare questi sospetti, mio caro Nanà! (Consentimi di chiamarti come i tuoi amici di Racalmuto). A quel tempo avevo solo diciassette anni. Seguii Bonaparte in Italia, perché mi sembrò l’unica possibilità di viaggiare e di conoscere il vostro meraviglioso paese. E tu sai, del resto, che ben presto mi stancai della vita militare e lasciai l’esercito, per dedicarmi a miei studi sulla storia e sull’arte italiane. E, poi, qualsiasi sospetto di opportunismo dovrebbe essere fugato dal fatto che ho chiesto, a testimonianza dell’amore per Milano, che sulla mia tomba venisse scritto l’epitaffio “Qui giace Arrigho Beyle, milanese”. Quando sei morto, mio caro Nanà, le furbizie non servono più!».
«E’ vero! Ma, d’altre parte, io non avevo alcun dubbio. Dicono, pure, che tu hai sfruttato il fascino, che esercitavi sulle donne, per fare carriera. Che come Julien Sorel, il protagonista di "Le rouge et le noir", avresti tentato di introdurti nella società bene, di acquisirne benemerenze e incarichi, attraverso le tue conquiste galanti, che,per la verità, collezionavi con grande facilità, soprattutto tra le dame dell’aristocrazia».
«Hai ragione! In Julien Sorel c’è molto di autobiografico. Fino a un certo punto, però. E’ vero: come lui avevo un debole per le donne. E chi lo nega? Ma non ho mai utilizzato le mie conquiste galanti come grimaldello per “sfondare” nella società che conta, come sostiene qualcuno. D’altra parte, in Italia non ho mai avuto incarichi ufficiali, né pubblici né privati. Ho sempre lavorato per lo Stato francese, fino al mio ultimo incarico, che è stato quello di console, a Civitavecchia. E, poi, questa fama di seduttore è stata un po’ montata ad arte, a beneficio di certa letteratura pruriginosa. Se consideri, peraltro, che l’unica donna italiana a cui tenevo veramente, la contessina Giulia Ranieri, di cui ho chiesto anche la mano, mi ha opposto un cortese ma netto rifiuto, mi ha dato “coffa” come dite voi siciliani, la leggenda metropolitana di uno Stendhal tombeur de femmes ne esce notevolmente ridimensionata».
«Assolutamente convincente, mio caro Henri! E, ora, levami un’ultima curiosità. Perché hai dato il titolo di Le rouge et le noir al tuo romanzo più famoso? Tu sai bene che sono state date molte interpretazioni al riguardo. Qualcuno ha detto che il titolo ha un riferimento preciso al nero dell’abito talare di Julien Sorel, ex seminarista, e al rosso del sangue, visto che Julien finì ghigliottinato. C’è chi ha sostenuto che hai inteso alludere al contrasto tra i clericali (nero) e i liberali (rosso) del tempo. Chi porta avanti altre teorie ancora. Per favore, vuoi dare la tua versione autentica, per mettere la parola fine a tutte queste diatribe?».
«Io, ovviamente, la mia motivazione la conosco. Ma consentimi di essere un po’ cinico, questa volta sì. Non la rivelerò mai! Ma tu te l’immagini? Se dovessi svelare l’origine del titolo, farei la gioia di un critico letterario per scontentarne almeno altri dieci: meglio lasciarli nelle loro convinzioni. Ma, a proposito di rouge et noir, perché non parlare di un argomento più divertente? Più frivolo, direi. Parliamo di vini! Credo che possiamo dare, vista la nostra condizione diciamo così “spirituale”, un’autorevole opinione sull’eterna querelle se siano più buoni i vini francesi o quelli italiani. Sei d’accordo Nanà?».
«Pienamente d’accordo. Io, al riguardo, ho un’idea ben precisa. Chapeau bas, tanto di cappello, ai vini bianchi francesi, soprattutto allo champagne. Ma, per quanto riguarda i rossi, non credo che esistano vini più buoni di quelli siciliani. Penso sempre, con grande nostalgia, al vino rosso che si produce nella mia amata campagna in contrada “La Noce”, a Racalmuto. Che profumo delicato! Che sapore intenso! Che emozioni, al momento della vendemmia con tutti i ragazzi a fare festa, mentre pigiavamo l’uva a piedi scalzi! E, poi, un anno, successe un fatto bellissimo, che ricordo sempre con piacere».
«Quale?».
«Mentre pigiavamo l’uva, preso dai fumi del mosto, crollai in mezzo al tino. I miei compagni prontamente mi risollevarono, ma, completamente ebbro, ridevo e straparlavo, mentre loro mi sorreggevano per le braccia».
«E cosa dicevi?».
«Fantasticavo, a quanto mi raccontarono dopo, di trovarmi in mezzo a un Baccanale in pieno svolgimento, secondo il rito pagano, che ci aveva spiegato, qualche tempo prima, il nostro vecchio insegnante di latino».
«Interessante! Soprattutto, sotto l’aspetto letterario. Racconta!».
«Io mi trovavo proprio in mezzo al corteo, preceduto dalle Menadi, le vergini che reggevano un enorme fallo di legno, simbolo della fertilità della terra e propiziatore di abbondanti raccolti, che procedeva, ondeggiando, tra la folla acclamante. Seguivano i Satiri, che, con i loro flauti doppi e tamburelli, intonavano suoni, a ritmo sempre più incalzante e frenetico».
«E, tu, che ruolo avevi nel rito?».
«Rappresentavo Dioniso. Cinto di pampini di vite, avanzavo tra la folla, sopra un cocchio trainato da cavalli, distribuendo grappoli di uva nera, mentre le Menadi mescevano vino a profusione alla folla sempre più vociante ed eccitata».
«E come è finita?».
«Come tutti i riti dionisiaci: con il fallo-falò! Ovverosia, con l’incendio dell’enorme simbolo fallico, mentre Dioniso, le Menadi e i Satiri, tutt’intorno, davamo vita a un vorticoso e delirante carosello».
«E tu?».
«Io, a detta dei miei compagni, alla fine del racconto che avevo fatto quasi in trance, completamente madido di sudore e con i vestiti zuppi di mosto, caddi in un sonno profondo e mi risvegliai nella mia casa di campagna, in contrada “La Noce”, dove mi avevano trasportato a braccia, solo due giorni dopo».
«Fantastico argomento per un racconto! Come mai non hai scritto niente, al riguardo?».
«Mi ripromettevo sempre di scriverci qualcosa, ma, poi, per un motivo o per un altro, ho sempre rimandato. Peccato! Chissa che, un giorno, qualche scrittore non prenda spunto da questo episodio, per realizzarci un racconto. Mah! Io me lo auguro. Ecco, in conclusione, perché ritengo il mio “Rosso della Noce” il vino più buono del mondo. Io non bevo molto, credimi, ma basta un goccetto del mio vino a mettermi allegria. A rendermi euforico».
«Tu non sei un estimatore del tuo vino. Di più: ne sei innamorato!».
«E’ vero, non posso negarlo: amo il vino della mia contrada! Che ne dici, mio caro Henri, ci facciamo un goccetto di rosso?».
«Ouì très volontiers, mon cher Nanà!».
Gaetano Gaziano
tanogaziano@yahoo.it
Questo è il mio quarto racconto tratto dalla raccolta "Il Bacchino ubriaco", edita dalla "Excogita" di Milano.
Chi volesse acquistare il libro segua questo link
http://www.bol.it/libri/Bacchino-ubriaco-altre-storie/Gaetano-Gaziano/ea978888972714/

Nessun commento: