venerdì 3 ottobre 2008

La "lapa" canterina: muoiono le tradizioni e avanza il degrado


Lampedusa, domenica 21 settembre. Un'allegra musica mi sveglia alle prime luci dell'alba. Ci siamo, penso, deve essere la banda musicale che dà inizio ai festeggiamenti della Madonna di Porto Salvo. Mi affaccio al balcone e, con grande sorpresa e stupore, mi accorgo che non è stata la banda a svegliarmi ma un'improvvisata ensemble fatta di tre elementi: tromba, trombone e tastiera, che su una moto ape, la mitica “lapa”, e con l'ausilio di enormi casse amplificatrici diffonde, assieme a qualche marcetta tipica della nostra banda, un repertorio assordante che spazia dal liscio alle canzoni classiche più conosciute. Una “lapa” canterina, insomma.
Così si uccidono le tradizioni, penso, e tra le tradizioni quella bandistica a Lampedusa è stata tra le più radicate e durature.
Ricordo che da bambina, quindi parlo di circa 50 anni fa, ero letteralmente affascinata dal trombone di ottone lucidissimo di mio zio Lello, che con molto orgoglio vedevo suonare per la festa della Madonna. La banda, anno dopo anno, ha aperto sempre i festeggiamenti, suonando per le vie del paese all'alba del 21 e 22 settembre festa appunto della nostra patrona, che coincide con lo sbarco dei primi coloni sulla nostra isola al seguito dell'ufficiale di Marina Bernardo Maria Sanvisente, che all'ordine di Ferdinando II di Borbone, colonizzò l'isola proprio il 22 settembre 1843.
I festeggiamenti per la Madonna di Porto Salvo quindi hanno avuto sempre anche una valenza celebrativa della nostra storia e delle nostre radici. Non nego quindi che, da lampedusana, ho trasecolato alla vista della “lapa” canterina in sostituzione della banda musicale che aveva il potere di svegliarmi allegramente, mentre questa novità ha suscitato in me solo un sentimento indispettito di fastidio. Il paradosso è che a Lampedusa di bande musicali ce ne sono ben due, che si alternano ogni anno per mantenere viva questa tradizione.
Quest'anno, in linea con la disamministrazione generale della cosa pubblica, non si sono a quanto pare trovati i finanziamenti pur minimi necessari a mantenere questa tradizione.
L'invenzione della “lapa” canterina merita però un'altra riflessione che sottolinea la capacità tipica dei lampedusani di reinventarsi, di cambiare pelle senza troppi rimpianti o sentimentalismi.
La breve storia di Lampedusa che va dalla fondazione a colonia ad oggi è segnata da continui cambiamenti e trasformazioni. I primi coloni venuti al seguito del Sanvisente sono contadini ma poi, alla scoperta del passaggio delle sardelle, diventano pescatori per poi reinventarsi, con la costruzione dell'aeroporto, operatori turistici. Oggi ci troviamo in un momento di transizione: il turismo scema, per motivi complessi che vanno dalla concorrenza alla crisi economica globale e così la speranza di allargare la stagione turistica sembra affievolirsi e ci si chiede cosa fare.
C'è un unico modo per tentare di mantenere Lampedusa sul mercato ed è quello di riqualificarla. Ma l'attuale amministrazione non sembra avvertire questa esigenza, indaffarata com'è a difendere o acquisire privilegi e a svendere quel che è rimasto del nostro territorio favorendo le speculazioni grandi e piccole che nel giro di qualche anno lo snatureranno del tutto.
Se solo, senza andare lontano, ci raffrontiamo alle altre isole siciliane, ci accorgiamo che ognuna ha qualcosa che la caratterizza. Pantelleria, ad esempio, ha i sesi (reperti archeologici) e i dammusi, le isole Eolie, difese strenuamente negli anni settanta e ottanta da Italia Nostra, sono state salvaguardate dagli scempi edilizi e oggi Lipari è inserita tra i siti Unesco. E l'elenco potrebbe continuare. Lampedusa invece non ha nemmeno saputo conservare quella pur minima identità datale dalla colonizzazione borbonica. Lo sgretolamento dei Sette Palazzi, che i bombardamenti del '43 avevano risparmiato, diventa la metafora di un degrado che costituisce la caratteristica visibile di Lampedusa, cresciuta per fetazioni senza regole.
La rete fognaria tracimante può attendere, la rete idrica insufficiente può attendere, il museo incompleto e ancora chiuso può attendere, il traffico caotico e inquinante può restare, in compenso si sono favorite le usucapioni fittizie e oggi ci si permette il lusso di regalare migliaia di metri quadri di suolo comunale come relitti. C'è davvero di che indignarsi, ma ciò presuppone una consapevolezza che non c'è, ma che potrebbe in uno scatto d'orgoglio finalmente arrivare ridimensionando i furbetti del quartierino accomunati in un “O'scià” che alla luce degli ultimi avvenimenti appare stucchevole e inadatto alle mefitiche esalazioni che stanno avvelenando l'aria.
Caterina Busetta
cbusetta@yahoo.it

3 commenti:

Anonimo ha detto...

E' davvero triste quanto questa cronaca, attenta e ben scritta, racconta.
"Lapa" è anche - nella lingua di Federico II - l'ape. La "lapa canterina" potremmo, dunque, immaginarla come figura di una storia che finisce, dell'ultimo canto (quello "del cigno") prima di morire.
In Sicilia la Banda musicale non è semplicemente un complemento della festa; è la colonna sonora di una fede genuina e "popolare".
E i preti? Lì, come altrove, cos'hanno fatto per impedire lo scempio?
Complimenti vivissimi, signora Caterina.

Anonimo ha detto...

Brava la signora Caterina, quando inserisce i suoi post per noi visitarori del sito è sempre un avvenimento...

Anonimo ha detto...

Bello il pezzo sulla lapa canterina!
Che ci volete fare, miei cari, comne diceva la "monachella santa" di Licata, ogniqualvolta che prediceva l'avvenire ai buoni licatesi del dopoguerra: "amm'a vidiri cosi ca 'nn'amu vistu mai!" Abbiamo visto l'ineffabile Donna Giulia Maria, che dall'alto della sua munificenza ci insegna cosa sia bene e male per noi poveri meridionali compiaciuti del suo alto patrocinio (meglio della Madonna di Porto Salvo, mi perdoni la Bedda Matri), e ci meravigliamo che i lampedusani di oggi inventino la lapa canterina? Lode allo spirito dell'innovazione!