martedì 24 agosto 2010

LAMPEDUSA COME IL FAR WEST

E' da quando sono andata in pensione che trascorro quasi sei mesi all'anno a Lampedusa nella casa paterna dove sono nata e che inevitabilmente mi riporta alle atmosfere, ai profumi, alle emozioni della mia infanzia e giovinezza. E' proprio per questo che ogni anno, quando si avvicina il momento di tornare a Lampedusa, mi sento pervasa da una certa euforia. Quest'anno le cose sono andate diversamente. Tornata a giugno inoltrato, dopo un'assenza durata mesi, mi sono ritrovata in un'isola che solo eufemisticamente potrei definire degradata. Anche se l'estate, almeno quella astronomica, è arrivata, Lampedusa è abbandonata, negletta come se non vivesse di turismo e non avesse il dovere di presentarsi in ordine per gli ospiti che, unica nota positiva, si annunciano numerosissimi.
Guardarsi attorno è davvero sconfortante: le erbacce cresciute ovunque (nel centro e in periferia) la rendono sciatta. Molti spazi comunali, anche al centro del paese, sono abbandonati e degradati quando con poco potrebbero essere riqualificati e fruiti, dando la misura dell'inefficienza di un'amministrazione comunale che si trascina stancamente. Le strade piene di buche sono delle vere trappole e i marciapiedi dissestati ci costringono a guardare a terra per non incappare in spiacevoli incidenti. Il traffico caotico, rumoroso e inquinante continua a disturbare la quiete di residenti e turisti che devono abbandonare ogni speranza di sonni tranquilli anche per la presenza di nugoli di zanzare agguerrite e ronzanti, felici perché a Lampedusa le disinfestazioni non si sa cosa siano. Ad accrescere il senso dell'abbandono ci pensano i tronchi di palme che, tagliati per via del punteruolo rosso, non sono mai stati sostituiti. A tutto ciò si aggiunge il disagio provocato da navi inadeguate, basti pensare che la “Paolo Veronese” qualche tempo fa, in balia di una burrasca, ha rischiato di affondare con tutto il suo carico di uomini e cose. Quello dei trasporti per mare è proprio la metafora dell'inadeguatezza di una classe politica (vecchia e nuova) incapace di risolvere i problemi non solo strutturali, quali appunti trasporti, acqua, depuratori, piano regolatore eccetera, ma anche quelli di piccolo cabotaggio quali pulizia, decoro urbano, traffico, eccetera.
E' veramente sconfortante constatare come quest'isola riproponga ogni anno moltiplicati, per via di una pressione antropica sempre maggiore, gli stessi insoluti problemi che rendono sempre più difficile la vita e la convivenza civile.
Il Sindaco De Rubeis si è vantato (vedi libro “ A Lampedusa, affari e malaffari” pag. 91) di avere dato una “marea di licenze edilizie”, ma si è preoccupato di destinare alcune aree del centro storico a verde pubblico, parcheggi, luoghi di aggregazione e quant'altro serve alla vivibilità di una civile comunità? Risulta invece una politica assolutamente opposta che tollera e favorisce l'accaparramento di quei pochi spazi comunali ancora liberi, anche nel centro storico, che potrebbero essere riqualificati e fruiti da tutta la collettività.
Così, nell'euforia delle licenze facili, oggi a Lampedusa ci troviamo nel pieno di un nuovo boom edilizio che si configura come speculazione e sacco del territorio. Quaranta appartamenti dove c'era l'industria conserviera Silvia, con una struttura fotocopia dell'ecomostro 'Ndusa, altri non si sa quanti dove c'era l'industria Del Gatto e ancora altri quaranta che nasceranno dove c'era la vecchia pensione Giardina, vecchia casa padronale dotata di un suo fascino. Si ripropongono gli errori del passato con l'aggravante che oggi Lampedusa è già supercementificata e che la cosa più logica e razionale sarebbe invece recuperare e riqualificare l'esistente dai Sette Palazzi alle vecchie case abbandonate e fatiscenti del centro storico per ridare dignità ad un paese che ormai è definito dai media “bombardato”
A tutto questo oggi bisogna aggiungere un nuovo e grave problema. Finita l'epoca delle usucapioni facili, perché se ne è sventata la matrice truffaldina, ecco inventato il sistema di svendere il demanio comunale (come ampiamente documentato da Giusi Nicolini nel numero di giugno di questo giornale).. Oggi basta appropriarsi di un terreno, piccolo o grande che sia (dai pochi mq. ai trentamila), perché intervenga il Comune a “sanare” queste illecite appropriazioni. E, a supporto dei provvedimenti del Sindaco De Rubeis “ratificati” dal consiglio comunale; si possono leggere fantasiose motivazioni come “detenuto” (con riferimento al terreno e non all'illegittimo possessore), “recintato”, “stato di abbandono”, “occupato”, “permuta” “baratto” eccetera. Chiunque pertanto è legittimato ad occupare un appezzamento di terreno comunale transennandolo magari con improvvisati e indecorosi recinti fatti di pedane di legno, raccattate nei supermercati, di vecchi fusti arrugginiti e quant'altro, e chiedere la “sanatoria” all'amministrazione De Rubeis. Lo spettacolo di questi improvvisati ranch rinvia all'epoca dei pionieri del Far West, quando si aprì la corsa alla conquista dei terreni che portò alla creazione dei famosi recinti celebrati nel film “La sfida all'O.K. Corral”.
Ma siccome niente avviene per caso o nasce dal nulla, bisogna ammettere che tutto ciò è l'eredità di una politica miope che da 30 anni a questa parte ha amministrato l'isola navigando a vista, senza predisporre quegli atti fondamentali per un ordinato sviluppo del territorio. Intendo parlare del piano paesaggistico, respinto con un cavillo burocratico circa 10 anni fa, e di un piano regolatore che scandalosamente ha dormito e continua a dormire nei cassetti del Comune. A ciò si aggiunga il potere parallelo (e non certo occulto) di qualche burocrate azzeccagarbugli che ha rappresentato per quasi 50 anni la continuità amministrativa diretta agli interessi di bottega più che ad un autentico sviluppo per tutta la comunità e per le generazioni future e che ha prodotto confusione catastale, ostacoli burocratici e illegalità diffuse.
Così il sindaco De Rubeis trova nel passato l'alibi e l'humus ideale per continuare una politica di consumo del territorio piuttosto che di risanamento virtuoso. Ciò che oggi è peggio rispetto al passato è il senso di scoramento e di rassegnazione che sta diffondendosi tra i lampedusani di solito grintosi e combattivi, come se ci si trovasse dinanzi ad una calamità naturale, ad uno tsunami. Non volendo arrendersi alla irredimibilità di sciasciana memoria, penso invece che sia arrivato il momento della riflessione da parte di tutti, dai cittadini, per lo più inconsapevoli, a chi è stato responsabile negli anni, in vari modi e a vario titolo, di questa deriva, e a chi infine avalla e supporta oggi una politica disastrosa i cui guasti sarà difficile in seguito recuperare.
Caterina Busetta

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