Questo il secondo dei miei racconti, tratto dalla raccolta "Il Bacchino ubriaco e altre storie" edita da Excogita di Milano
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"Il verdetto di Dom Pérignon"
Dom Pierre Pérignon era il monaco più famoso di Francia.
E per due motivi: aveva creato il celebre vino “Champagne” e godeva di fama di tombeur de femmes. Anche se monaco. Anzi, proprio perché monaco.
Cellario (economo) dell’abbazia benedettina di Hautevillers, paesino che si affaccia sulla Marna, Pérignon conduceva una vita serena ma, tutto sommato, anonima quando, un giorno, per caso (o per fortuna) gli capitò di intervenire sul processo di fermentazione del vino, che i monaci della sua abbazia producevano da secoli. Provò ad aggiungere dello zucchero durante la maturazione del mosto.
Nacque così il famoso vino dalle bollicine (perlage). E fu subito leggenda.
Il vino conquistò ben presto le mense aristocratiche, prima della regione dove veniva prodotto e, subito dopo, dell’intera Francia.
Non c’era casa nobiliare francese che non usasse lo Champagne, come segno di distinzione sociale.
E quando il vino approdò a Versailles, alla corte reale, fu la vera e autentica consacrazione.
Con il vino divenne famoso anche il suo creatore: Dom Pierre Pérignon, che seppe cavalcare abilmente il successo del momento, non per ottenere denaro, che pure arrivò copioso nelle casse della sua abbazia, ma per assecondare una sua curiosa debolezza: le dame del bel mondo dell’aristocrazia. Certo, inconfessabile per un monaco e, tuttavia, pressante e irrefrenabile.
Per la verità, qualche approccio galante l’aveva pure avuto, dato che si era guadagnata una discreta fama di confessore attento e scrupoloso. Ed era anche molto indulgente, nei confronti delle giovani penitenti, per le loro trasgressioni coniugali. Soprattutto, se consumate con il giovane confessore. Ma si trattava sempre di roba di poco conto, di popolane. Il simpatico monaco aspirava a ben altro. E lo Champagne gli venne in soccorso.
Scoprì (e aveva ragione) che il nobile vino non può essere bevuto in bicchieri di grossolano vetro. Si gusta di più, se assaporato lentamente in bicchieri di cristallo sottile sottile come chiffon.
Ed ecco la sua trovata: non in bicchieri di cristallo dalla foggia tradizionale, ma in bicchieri a forma di coppa, che però le fabbriche reali di cristalleria ancora non producevano, se non in modo approssimativo.
«Bisogna trovare una coppa ideale, e il suo stampo non può che essere il seno perfetto di una donna bellissima» fece sapere in giro l’abile monaco.
A quel punto la sfida era stata lanciata.
Se ne capì subito anche l’importanza. La donna, che avesse avuto la ventura di vincere la competizione, fornendo il proprio seno come stampo, avrebbe consegnato alla storia il proprio nome come simbolo di bellezza universale.
Le aristocratiche del luogo fecero a gara a invitare il geniale monaco nelle proprie lussuose dimore.
«E’ un bravo confessore!» dicevano agli ingenui mariti.
Dom Pérignon faceva il suo lavoro, con rigore professionale. Con estrema serietà. L’esame “obiettivo” della perfezione del seno, offerto alla sua valutazione, avveniva sempre in camera da letto, lontano da occhi indiscreti. Naturalmente, non poteva essere limitato alla sola parte del torace denudato.
«Il nudo femminile ha una sua armonia complessiva,» sosteneva alla candidata di turno, con pignoleria da medico curante, «per cui occorre che lei si spogli completamente».
E le aspiranti “miss seno più bello del mondo” si lasciavano convincere molto volentieri dall’affascinante monaco, senza fare molta resistenza.
Dom Pérignon ebbe il suo bel daffare per un lungo periodo di tempo: andava nelle dimore delle belle aristocratiche, “misurava e confessava”.
Dopo che ebbe “confessato” le più belle dame di tutta la regione, pensò che era arrivato il momento di portare la sua missione di “misuratore e confessore” all’interno della stessa reggia di Versailles. Non era facile, però.
Vi regnava un giovane sovrano potente e gaudente, che aveva imposto alla propria corte un rigido protocollo di accesso per tutti: aristocratici ed ecclesiastici.
Il re era Luigi XIV, le Roi Soleil.
Ma non disperò. Aspettò con calma che si presentasse l’opportunità giusta, che arrivò con l’ultima visita di “misurazione e confessione”. La richiesta gli venne, questa volta, dalla bellissima madame de Boucheron, dama di compagnia della Regina.
Il monaco fu più attento e scrupoloso del solito nella valutazione del bellissimo seno dell’avvenente dama e ancora più accurato nella “confessione”, che durò l’intera notte. L’indomani, entrambi esausti, si congedarono con la promessa del monaco di confessare più spesso la “contrita” penitente, e di un intervento di madame de Boucheron presso il cerimoniere di Versailles, per fargli avere un invito a corte.
Dopo qualche settimana Dom Pérignon fece il suo ingresso a Versailles, come assistente provvisorio del cappellano di corte e come confessore aggiunto. Era arrivato il momento che tanto aspettava. E lo sfruttò a dovere.
Quando mise piede nella reggia, restò letteralmente a bocca aperta davanti a quelle meraviglie. E dire che ne aveva visitate di dimore nobiliari e di castelli vari, per via della sua attività di “confessore”.
Centinaia di sale affrescate e ornate di stucchi dorati. E monumentali candelabri di cristallo di Murano e di Limoges, pendenti dai soffitti. E, alle pareti, preziose tele di Tiziano, Velasquez, Rubens e tanti altri. E preziosi arazzi Gobelins e fiamminghi, tramati di fili d’oro e d’argento. Mai vista, dal monaco, tanta ricchezza e tanto sfarzo concentrati in uno stesso luogo.
E che gente! Tutta la migliore nobiltà francese risiedeva in quelle stanze incantate, impiegando il proprio tempo tra lauti pranzi e leziosi minuetti. E quante dame da “confessare”!
Introdotto da madame de Boucheron, Dom Pérignon, che già era conosciuto e apprezzato come creatore dello Champagne, si mise tosto all’opera, alla ricerca del seno perfetto, come stampo per la coppa ideale di cristallo. E, a palazzo, il materiale umano da esaminare abbondava. Le sue qualità vennero subito apprezzate e divennero, anzi, argomento di amena e gustosa conversazione delle imparruccate e incipriate dame di corte, dietro lo sventolio civettuolo dei preziosi ventagli intarsiati e orlati di pizzo.
E dom Pérignon “misurava e confessava”.
Tutte le dame di corte, nessuna esclusa, erano in lista di attesa, per essere visitate. Comprese le “favorite” di turno del Roi Soleil. Anzi, erano proprio quelle che, più delle altre, facevano “dolce” pressione sul monaco, per aggiudicarsi l’agognato primato. Cosa non avrebbero dato, pur di vedere schiattare qualche odiatissima rivale! E quanti regalini ricevette!
A dom Pérignon il gioco piaceva. Era abbastanza furbo per capire che, se avesse proclamato una vincitrice scegliendo il suo seno come stampo per la coppa ideale, si sarebbe fatta un’amica ma, di contro, centinaia di nemiche. Non aveva fretta, dunque.
Capì tutto Molière, autore dei testi teatrali e capocomico della compagnia, che intratteneva gli aristocratici spettatori con esilaranti pièces, nel teatro di corte, dove non era raro vedere impegnato personalmente lo stesso re.
«L’importante è che non “confessiate” mia moglie» gli diceva divertito il grande commediografo.
«Il n’y a pas de problème» lo rassicurava, con fare ammiccante, il gaudente frate.
Nelle sue visite, gli capitò a volte di incrociare Luigi XIV, che usciva furtivo dagli appartamenti delle sue favorite.
«Mon cher ami» gli strizzava l’occhio, con sorriso complice, il sovrano, che era ben informato della sua attività di “consulente spirituale” delle dame di corte.
«Maestà!» rispondeva deferente Dom Perignon, con un grande inchino, ricambiando il sorriso, con compiacimento.
«Dom Pierre, la Regina vi vuole conoscere» gli confidò un giorno madame de Boucheron.
Questa proprio non se l’aspettava!
Dopo avere effettuato la visita e la “confessione”, con l’attenzione di sempre, il frate pensò:
«Questa è la volta buona per mettere fine a questa sfida. Se faccio vincere la regina, nessuna dama troverà da ridire sul verdetto, almeno ufficialmente. Anche se ha il seno che non è un granché».
E, poi, si era pure stancato di ricorrere a quello stucchevole espediente della gara della misurazione, per accedere negli appartamenti delle belle dame. Non ne aveva più bisogno: ormai veniva invitato liberamente dalle voluttuose aristocratiche con molta nonchalance.
Ma Dom Pérignon fece male i suoi calcoli.
Se ne rese conto, quando gli arrivò, tramite la solita amica, l’ambasceria dell’ultima favorita del re, la bellissima madame de Maintenon. E quella non era una favorita qualsiasi, era “la favorita delle favorite”! A tal punto che il sovrano, innamoratissimo, l’aveva sposata in segreto, con un matrimonio morganatico.
Il bravo monaco non poté sottrarsi all’invito. “Misurò e confessò” anche madame de Maintenon.
Ora il problema era grosso. Madame era persona molto influente a corte. Forse più della stessa regina. Non poteva tergiversare, ma intuiva il rischio che correva, nell’effettuare la scelta. In ogni caso, avrebbe avuto contro una delle persone più potenti di Francia.
«Adesso posso capire» pensò l’angosciato frate «cosa provò Paride, nel dover aggiudicare la famosa gara di bellezza tra Giunone, Minerva e Venere, e il prezzo alto che dovettero pagare, lui e la sua gente, per l’incauta decisione di eleggere Venere “la più bella del mondo”».
Queste e altre cose pensava, quando gli arrivò la notizia che il terribile cardinale Mazarino, primo ministro del re, l’aveva convocato nel suo studio.
«Ha saputo certamente, attraverso i suoi informatori, della mia attività di “confessore” e vuol farmela pagare» pensò, preoccupato, mentre si recava dal cardinale, che invece, stranamente, l’accolse con fare molto cordiale:
«Ne t’inquiète pas, mon ami. So della tua attività di “assistente spirituale” delle dame di corte. Ma questa volta l’hai combinata grossa!».
«Perché mai, eminenza?» rispose il frate, con un fil di voce e con le gambe che gli tremavano un po’.
«Non fare il finto tonto! Con questa storia del seno perfetto, da utilizzare come stampo, hai scatenato una feroce rivalità tra le due persone più potenti della corte di Versailles: la regina e madame de Maintenon. Rischi di vanificare gli sforzi che faccio da anni, per mantenere il delicatissimo equilibrio tra tutti i componenti della reggia, per il bene supremo della Francia».
«Ma eminenza, si tratta di un gioco innocente…» tentò di replicare timidamente il frastornato frate.
«E chiamalo innocente! Lo sai tu che le due “signore” esercitano un forte ascendente sul volubile carattere del sovrano? O fai finta di non saperlo? Dare qualche riconoscimento in più all’una o all’altra, anche se di natura frivola come l’apprezzamento estetico sulla perfezione del seno, significherebbe scatenare la guerra tra le due, mandando alla malora tutta la mia sottile opera di diplomazia».
«Perdonatemi, eminenza. Cosa posso fare per rimediare?» chiese l’attonito frate.
«Non devi far niente. Assolutamente niente. Non aggiudicare questa stupida gara. Prendi tempo, rinvia!».
«Ma..?».
«Non ci sono “ma” che tengano» disse, drastico, il cardinale. «Non temere per il risentimento e le punizioni delle “signore”. Me ne occupo io, personalmente. In caso contrario sai cosa rischi!». Così dicendo, si passò, in modo inequivocabile, l’indice della mano inanellata sul collo, da sinistra verso destra.
Mai messaggio al mondo avrebbe potuto essere più chiaro.
Il furbo Dom Pérignon capì e non decise mai. Fino alla fine dei suoi giorni.
La ricerca, comunque, continuò anche dopo di lui, per opera di altri frati “confessori” dell’abbazia di Hautevillers. Fu completata qualche tempo dopo, quando, a fornire lo stampo per la coppa ideale per lo Champagne, fu la cortigiana più famosa della Storia: Madame de Pompadour.
Gaetano Gaziano
tanogaziano@yahoo.it
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giovedì 7 luglio 2011
Il verdetto di Dom Pérignon
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