Enea si sentiva stanco. Nell’animo più che nel fisico.
Molto aveva errato per terre e per mari sconosciuti, alla ricerca del luogo ideale dove ricostruire l’amata Troia, messa a ferro e a fuoco dagli invasori Achei.
Tante e gravi pene aveva patito nel suo lungo errare. E quando pensava già di essere approdato nel luogo giusto, ecco il fato e i venti sospingerlo per altre mete, secondo un disegno divino, che faceva fatica a capire e che rendeva il suo viaggio una sorte di espiazione, un tragitto dell’anima verso la salvezza.
E, mentre una fresca brezza mattutina alleviava la sua fatica di marinaio stanco e sfiduciato al timone della barca, non poteva fare a meno di tornare, col ricordo, ai suoi primi anni felici vissuti da principe pastore sul monte Ida, lontano dai fasti della reggia di Priamo.
Sì è vero, a corte lo consideravano con molta sufficienza, come appartenente a un ramo collaterale e secondario della nobiltà troiana. Ma a Enea non importava più di tanto. Era felice ugualmente. Gli bastava poco per essere soddisfatto: l’amata Creusa, moglie fedele e discreta, il dolce figlioletto Ascanio e tutta la famiglia patriarcale, all’interno della quale il padre Anchise non faceva certamente pesare il suo ruolo di capo tribù.
Gestiva, con la sua gente, i copiosi armenti di proprietà, ricavando dal commercio delle pelli e della lana sufficienti risorse per il mantenimento della numerosissima famiglia. Di certo non sentiva la mancanza degli agi e del lusso della vita di corte, a Troia. Ne faceva volentieri a meno.
Aveva abitudini essenziali e gratificanti: vita all’aria aperta, composizioni poetiche al suono del flauto, cibo sano e vino buono, che non mancava mai alla sua mensa. Erano stati proprio i lontani antenati dei contadini della sua terra, l’Anatolia, a produrre per primi quel nettare divino, con il procedimento da loro inventato di pigiare l’uva matura a piedi scalzi, e che avevano chiamato enòs, vino. Ed Enea ne era un convinto estimatore e un discreto consumatore.
Di queste cose semplici era fatta la sua vita.
Un giorno, di colpo, il dramma: l’invasione degli Achei e l’inevitabile guerra.
Enea inizialmente, capendo le vere ragioni dell’aggressione, che erano dettate dal controllo dello stretto dell’Ellesponto, crocevia di commerci verso l’oriente (non certo per affari di donne), aveva cercato di convincere i Troiani a concludere una pace equa con i greci invasori, dato il loro strapotere militare e l’impossibilità di contrastarli.
Scelta comunque la via della guerra, si era battuto con valore al pari del generoso e nobile Ettore.
E ora, mentre guardava l’orizzonte lontano, aveva ancora negli occhi le fiamme che bruciavano la città, presa dal nemico con l’inganno, e il ricordo si faceva lancinante dolore, al pensiero dell’adorata moglie Creusa perita in quell’incendio.
E poi la fuga verso occidente, con il padre ormai vecchio e il figlio Ascanio, alla ricerca di un nuovo sito dove ricostruire la propria esistenza, però non trovando mai un luogo come lui lo sognava: accogliente e ridente come le dolci vallate del monte Ida.
Il suo viaggio, che sembrava non finire mai, era stato pure costellato da drammi e lutti che avevano messo a dura prova la sua forte tempra di combattente.
Avrebbe volentieri terminato il suo lungo peregrinare a Cartagine, dove aveva vissuto l’appassionante storia d’amore con Didone, regina di Libia. Ma aveva dovuto piegarsi al volere di Zeus, che aveva per lui un diverso progetto, e riprendere il cammino per terre sconosciute, lasciando nella disperazione l’infelice Didone, che, per il dolore, si era suicidata.
Anche in terra di Trinacria avrebbe voluto fermarsi, ma era stato scoraggiato dall’infausto presagio della morte del padre Anchise a Drepano, sulla costa occidentale dell’isola.
«Quando avrà fine questo mio viaggio, interminabile e amaro?» pensava, mentre il suo sguardo andava teneramente ad Ascanio, che dormiva tranquillo a prua, all’aperto, su un improvvisato giaciglio di scotte.
I suoi tristi pensieri svanirono alla vista di una sottile linea scura, all’orizzonte, che s’ingrandiva, man mano che la barca si avvicinava veloce, spinta dal vento in poppa.
«E’ la terra!» pensò commosso.
Svegliò immediatamente Ascanio, e chiamò a raccolta lo sparuto numero di compagni di viaggio, che erano sopravvissuti alle varie peripezie.
«Chissà, potrebbe essere la volta buona» pensò, mentre già cominciava a delinearsi con distinzione il profilo della costa e del paesaggio retrostante, che era fatto di dolci colli verdeggianti e assolati.
Giunti sotto costa, Enea individuò rapidamente un’insenatura naturale e ordinò ai suoi uomini di ammainare le vele, per accostarsi a remi e per ancorarvi la barca.
Mentre si avvicinavano, notò sugli scogli un gruppo di giovani donne, che, festanti, sventolavano dei veli variopinti.
Approdati a terra, le giovani si avvicinarono, con fare amichevole, agli stranieri nuovi arrivati.
«Sono Enea, principe troiano, figlio di Anchise, e vengo su questa terra, con mio figlio Ascanio e con questi compagni di viaggio, con intenzioni pacifiche» si affrettò a presentarsi alle accoglienti ospiti.
«Benvenuto, straniero, a te e ai tuoi compagni! E, poiché venite con intenzioni non ostili, sarete ben accolti» fu il saluto della più giovane di loro.
«Posso conoscere il tuo nome e quello del posto dove siamo approdati?» chiese, trepidante, Enea all’avvenente fanciulla.
«Certamente» rispose lei, con un largo sorriso, «mi chiamo Lavinia e sono la figlia di Laurento, re di queste terre, che hanno il nome di Enòtria, perché ricche di vigneti e di buon vino.
Dicendo così, fece cenno a un’ancella, che si affrettò a offrire ai nuovi arrivati delle brocche di vino, in segno di ospitalità.
Enea bevve lentamente, per assaporare ogni goccia di quel nettare.
«E’ il gusto del nostro vino!» gridò ai suoi compagni. «E’ identico al sapore del vino di Troia! Padre Zeus non poteva darmi segnale più chiaro che il nostro errare è arrivato finalmente a conclusione»
Dopo di che si chinò sulla terra e la baciò e, con gli occhi lucidi, rivolto ai suoi disse:
«Ecco la nostra nuova patria! Qui costruiremo le case per noi e per i nostri figli, in pace con i vicini. Il nostro viaggio è finito!»
Gaetano Gaziano
tanogaziano@yahoo.it
Questo è il sesto racconto tratto sempre dal mio libro "Il Bacchino ubriaco e altre storie", Edizioni Excogita Milano.
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domenica 15 gennaio 2012
sabato 24 dicembre 2011
Buon Natale e Felice Anno Nuovo
Desideriamo formulare ai lettori di questo blog gli auguri più sinceri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo.
Siamo certi che i nostri lettori, soprattutto quelli che tornano a visitarci, condividono con noi gli stessi valori, quelli cioé che fanno riferimento alla tutela del nostro patrimonio storico, culturale e paesaggistico.
Ciao a tutti e buone feste,
Caterina Busetta e Gaetano Gaziano. Continua a leggere...
Siamo certi che i nostri lettori, soprattutto quelli che tornano a visitarci, condividono con noi gli stessi valori, quelli cioé che fanno riferimento alla tutela del nostro patrimonio storico, culturale e paesaggistico.
Ciao a tutti e buone feste,
Caterina Busetta e Gaetano Gaziano. Continua a leggere...
sabato 10 dicembre 2011
LA VERITA' DI DON GIOVANNI
"LA VERITA' DI DON GIOVANNI"
Peggio di così non mi potevano trattare il signor Mozart e il signor Da Ponte. Dipinto come un mariolo e sprofondato all’inferno, con tutti i vestiti.
La mia unica preoccupazione sarebbe stata, per loro, quella di “farmi” le belle damine del mio tempo.
Di infoltire il “catalogo”, che teneva il mio servo, quel birbante di Leporello.
E chi lo nega?
Solo che quella, che era per me una scelta esistenziale, sarebbe stata, per gli “illustrissimi” autori, una sconveniente e deplorevole condotta, da condannare tout court.
Ma i veri immorali, credetemi, erano loro: pieni di tic, di complessi e di condizionamenti.
Il signor Amadeus, per esempio, soffriva di un complesso di Edipo grande quanto una casa, che si portava appresso dalla nascita.
Per la verità, non era tutta colpa sua: quel suo odioso padre, Leopold, se lo era trascinato dietro, appena bambino, a esibirsi, assieme alla sorellina Nannarel, nelle più importanti corti europee, come un fenomeno da baraccone; quello lì, per me, avrebbero dovuto impiccarlo per sevizie reiterate all’infanzia. Però lui, Amadeus, non riuscì mai a scrollarsi di dosso (e ne aveva tutte le qualità) quella terribile figura paterna.
A tal punto che la proietta nel personaggio del Commendatore, terribile vendicatore di quel libertino di don Giovanni, che, poi, sarei io.
In effetti, sono stato un libertino.
E me ne vanto!
Ma nell’accezione più nobile del termine.
Io, infatti, sposai in toto la filosofia del libertinismo, che vuol dire insofferenza a tutte le regole imposte dall’alto.
Libertà totalizzante, dunque. Prima tra tutte, quella in campo sessuale. Sono stato il primo autentico predicatore del libero amore, anticipando i tempi di almeno due secoli. E ne sono stato un vero e convinto attuatore e ambasciatore.
La mia fama ha travalicato quella dello stesso Mozart e del suo librettista. Quest’ultimo, poi, Lorenzo Da Ponte, ve lo raccomando! Lui, però, non era un complessato come Mozart.
Peggio: era un furbo! Professava il suo moralismo bigotto, da cattolico convertito qual era.
Doveva dimostrare “all’esterno” la sua totale adesione alla religione cattolica, a cui era approdato per opportunismo.
Quando Mozart gli chiese un libretto da musicare, non gli parve vero. Tirò fuori dal cassetto il dramma “El burlador de Sevilla” del signor Tirso De Molina, intriso dei più beceri principi gesuitici della Controriforma, e ha creato, con Mozart, questo grande capolavoro del “Don Giovanni”.
E chiamalo capolavoro! Mi hanno dipinto come un mostro. Un fatuo bellimbusto, ossessionato esclusivamente dal sesso.
Il cavaliere Giacomo Casanova, con me il più degno rappresentante del libertinismo in senso assoluto, che era presente alla prima di Praga, si alzò indignato e se ne andò sbattendo la porta.
Lasciate invece che sia io, Don Giovanni, a raccontarvi come sono andate in effetti i fatti, per averli vissuti in prima persona.
Occorre cominciare dall’inizio della storia. Siamo al primo atto dell’opera. Io me ne sto a corteggiare (ricordate?) la bella Zerlina, procace e avvenente contadinotta, promessa sposa a quello zotico di Masetto.
Io le propongo di seguirmi nel mio casino di campagna, sussurrando: “Là ci darem la mano, là mi dirai di sì”.
Lei esita. Oppone una debole resistenza: “Vorrei e non vorrei, mi trema un poco il cor”.
Insisto: “Vieni mio bel diletto. Io cangerò tua sorte”.
Alla fine cede e, mano nella mano, ci avviamo al nido d’amore: “Andiam, andiam mio bene a ristorar le pene d’ un innocente amor”.
A questo punto, secondo gli “illustrissimi” autori, interviene Donna Elvira, una mia vecchia conquista sedotta e abbandonata (come tutte le altre del resto), che interrompe bruscamente il nostro idillio e manda all’aria l’ultima mia avventura. Quindi sarei andato in bianco.
Sciocchezze!
Niente di più falso. A me, se permettete a Don Giovanni, una cosa simile non è mai successa.
Ed ecco il seguito. Quello vero: Zerlina e io, presi da focosa passione, ci avviamo nel mio casino di campagna, e lì trascorriamo dei momenti indimenticabili.
Che notte, ragazzi!
Il confortevole casino è perennemente attrezzato per le mie improvvise incursioni galanti. Non manca mai niente alla bisogna. Soprattutto il vino. C’è sempre una buona scorta di “eccellente marzimino”. Il vino che io, a detta degli “illustrissimi” autori, avrei dovuto offrire, nel secondo atto, al Commendatore da me invitato a cena.
Ma vi sembro proprio il tipo da sprecare un vino così nobile, come il marzimino, per un “convitato di pietra”?
Vi dico io l’uso che ne ho fatto.
Quattro bottiglie ce ne siamo scolate, Zerlinuccia e io, in quella notte da sballo, tra un amplesso e l’altro.
Vino e amore vanno straordinariamente a braccetto, credetemi. Una sola espressione vera mi hanno messo in bocca gli “illustrissimi" autori: è quando, nel secondo atto, inneggio: “Vivan le femmine, viva il buon vino, sostegno e gloria d’ umanità”. In ciò almeno non si sbagliarono.
Questa, amici miei, è in conclusione la vera ed autentica versione dei fatti.
Parola di Don Giovanni!
-------------------
E questo è il quinto racconto tratto dal mio libro "Il Bacchino ubriaco e altre storie" edito da Excogita Milano.
Parla della vicenda del Don Giovanni, da me rivisitata.
Gaetano Gaziano
tanogaziano@yahoo.it. Continua a leggere...
Peggio di così non mi potevano trattare il signor Mozart e il signor Da Ponte. Dipinto come un mariolo e sprofondato all’inferno, con tutti i vestiti.
La mia unica preoccupazione sarebbe stata, per loro, quella di “farmi” le belle damine del mio tempo.
Di infoltire il “catalogo”, che teneva il mio servo, quel birbante di Leporello.
E chi lo nega?
Solo che quella, che era per me una scelta esistenziale, sarebbe stata, per gli “illustrissimi” autori, una sconveniente e deplorevole condotta, da condannare tout court.
Ma i veri immorali, credetemi, erano loro: pieni di tic, di complessi e di condizionamenti.
Il signor Amadeus, per esempio, soffriva di un complesso di Edipo grande quanto una casa, che si portava appresso dalla nascita.
Per la verità, non era tutta colpa sua: quel suo odioso padre, Leopold, se lo era trascinato dietro, appena bambino, a esibirsi, assieme alla sorellina Nannarel, nelle più importanti corti europee, come un fenomeno da baraccone; quello lì, per me, avrebbero dovuto impiccarlo per sevizie reiterate all’infanzia. Però lui, Amadeus, non riuscì mai a scrollarsi di dosso (e ne aveva tutte le qualità) quella terribile figura paterna.
A tal punto che la proietta nel personaggio del Commendatore, terribile vendicatore di quel libertino di don Giovanni, che, poi, sarei io.
In effetti, sono stato un libertino.
E me ne vanto!
Ma nell’accezione più nobile del termine.
Io, infatti, sposai in toto la filosofia del libertinismo, che vuol dire insofferenza a tutte le regole imposte dall’alto.
Libertà totalizzante, dunque. Prima tra tutte, quella in campo sessuale. Sono stato il primo autentico predicatore del libero amore, anticipando i tempi di almeno due secoli. E ne sono stato un vero e convinto attuatore e ambasciatore.
La mia fama ha travalicato quella dello stesso Mozart e del suo librettista. Quest’ultimo, poi, Lorenzo Da Ponte, ve lo raccomando! Lui, però, non era un complessato come Mozart.
Peggio: era un furbo! Professava il suo moralismo bigotto, da cattolico convertito qual era.
Doveva dimostrare “all’esterno” la sua totale adesione alla religione cattolica, a cui era approdato per opportunismo.
Quando Mozart gli chiese un libretto da musicare, non gli parve vero. Tirò fuori dal cassetto il dramma “El burlador de Sevilla” del signor Tirso De Molina, intriso dei più beceri principi gesuitici della Controriforma, e ha creato, con Mozart, questo grande capolavoro del “Don Giovanni”.
E chiamalo capolavoro! Mi hanno dipinto come un mostro. Un fatuo bellimbusto, ossessionato esclusivamente dal sesso.
Il cavaliere Giacomo Casanova, con me il più degno rappresentante del libertinismo in senso assoluto, che era presente alla prima di Praga, si alzò indignato e se ne andò sbattendo la porta.
Lasciate invece che sia io, Don Giovanni, a raccontarvi come sono andate in effetti i fatti, per averli vissuti in prima persona.
Occorre cominciare dall’inizio della storia. Siamo al primo atto dell’opera. Io me ne sto a corteggiare (ricordate?) la bella Zerlina, procace e avvenente contadinotta, promessa sposa a quello zotico di Masetto.
Io le propongo di seguirmi nel mio casino di campagna, sussurrando: “Là ci darem la mano, là mi dirai di sì”.
Lei esita. Oppone una debole resistenza: “Vorrei e non vorrei, mi trema un poco il cor”.
Insisto: “Vieni mio bel diletto. Io cangerò tua sorte”.
Alla fine cede e, mano nella mano, ci avviamo al nido d’amore: “Andiam, andiam mio bene a ristorar le pene d’ un innocente amor”.
A questo punto, secondo gli “illustrissimi” autori, interviene Donna Elvira, una mia vecchia conquista sedotta e abbandonata (come tutte le altre del resto), che interrompe bruscamente il nostro idillio e manda all’aria l’ultima mia avventura. Quindi sarei andato in bianco.
Sciocchezze!
Niente di più falso. A me, se permettete a Don Giovanni, una cosa simile non è mai successa.
Ed ecco il seguito. Quello vero: Zerlina e io, presi da focosa passione, ci avviamo nel mio casino di campagna, e lì trascorriamo dei momenti indimenticabili.
Che notte, ragazzi!
Il confortevole casino è perennemente attrezzato per le mie improvvise incursioni galanti. Non manca mai niente alla bisogna. Soprattutto il vino. C’è sempre una buona scorta di “eccellente marzimino”. Il vino che io, a detta degli “illustrissimi” autori, avrei dovuto offrire, nel secondo atto, al Commendatore da me invitato a cena.
Ma vi sembro proprio il tipo da sprecare un vino così nobile, come il marzimino, per un “convitato di pietra”?
Vi dico io l’uso che ne ho fatto.
Quattro bottiglie ce ne siamo scolate, Zerlinuccia e io, in quella notte da sballo, tra un amplesso e l’altro.
Vino e amore vanno straordinariamente a braccetto, credetemi. Una sola espressione vera mi hanno messo in bocca gli “illustrissimi" autori: è quando, nel secondo atto, inneggio: “Vivan le femmine, viva il buon vino, sostegno e gloria d’ umanità”. In ciò almeno non si sbagliarono.
Questa, amici miei, è in conclusione la vera ed autentica versione dei fatti.
Parola di Don Giovanni!
-------------------
E questo è il quinto racconto tratto dal mio libro "Il Bacchino ubriaco e altre storie" edito da Excogita Milano.
Parla della vicenda del Don Giovanni, da me rivisitata.
Gaetano Gaziano
tanogaziano@yahoo.it. Continua a leggere...
mercoledì 16 novembre 2011
Rigassificatore: Appello al Presidente Monti per salvare la Valle dei Templi
Signor Presidente,
l'art. 9 della Costituzione Italiana sancisce il principio della tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione.
L'art. 32 tutela il diritto alla salute di tutti i cittadini.
In questa ottica e con questo spirito abbiamo contrastato il progetto di costruire un rigassificastore da 8 miliardi di mc. (definito dalla normativa Seveso “a rischio di incidente rilevante”) a Porto Empedocle, sotto la Valle dei Templi di Agrigento, patrimonio Unesco, con gli strumenti della democrazia e del diritto.
Ad Agrigento è stato indetto, infatti, un referendum popolare perché il corpo elettorale si pronunciasse sull'opportunità di realizzare il predetto insediamento industriale in prossimità di un sito archeologico di grande valenza storico-culturale.
L'esito del referendum è stato del 95% di “No” contro il 5% di “Sì” e tuttavia non è servito a fermare la macchina burocratica dell'autorizzazione dell'impianto.
Abbiamo fatto ricorso allora agli strumenti dell'ordinamento giuridico italiano, rivolgendoci al Tar del Lazio, che, con sentenza del 14.12.2010, ha annullato il decreto autorizzativo della Regione Sicilia.
Il Consiglio di Stato, con decisione del 19.7.2011, ha ribaltato la sentenza del Tar del Lazio, dando il via libera alla costruzione dell'impianto gasiero, confinante con il parco archeologico della Valle dei Templi di Agrigento.
Signor Presidente, ad oggi risultiamo perdenti, ma con la costruzione dell'impianto risulteranno perdenti, riteniamo, tutti gli Italiani di fronte al mondo della cultura.
Ci è stato detto che sono state rispettate tutte le procedure ed espressi tutti i pareri previsti per legge. E' vero. Ma le istituzioni sono fatte di uomini e, a volte, gli uomini sbagliano. In buona fede, ma sbagliano.
Come non considerare, infatti, un macroscopico errore umano il parere espresso dal Sovrintendente ai BB.CC. di Agrigento con nota del 3.3. 2006 n. 2083, con la quale, dopo avere premesso che “il tracciato del gasdotto di collegamento, nella parte iniziale, attraversa ambiti di collegamento sottoposti a vincolo paesaggistico (D.A. 29 luglio 1993 n. 6458- Zona “Caos”) e, lungo il corso del tracciato, ricade in prossimità di aree di interesse archeologico e di aree boscate ed attraversa infine corsi d'acqua tutelati”, alla fine rilascia il nulla osta, pur se accompagnato da improbabili prescrizioni di coloriture e mascherature.
Su quel nulla osta si fondano tutti pareri successivi, compreso quello favorevole del Ministero dei BB.CC e del Ministero dell'Ambiente.
Com'è certamente sbagliato avere previsto la costruzione di un rigassificatore da 8 miliardi di mc. alla distanza di appena 800 metri dal centro abitato di Porto Empedocle, mentre il più grande esperto internazionale di sicurezza e antiterrorismo, il Prof. Richard Clarke, consulente di tre presidenti americani, consiglia di costruire i rigassificatori, il più distante possibile dai centri abitati.
E infelice è stata anche la scelta di progettare l'impianto gasiero sotto la Valle dei Templi di Agrigento, patrimonio Unesco. E' previsto addirittura che che il gasdotto di collegamento attraversi la buffer zone (zona di rispetto) Unesco del parco archeologico di Agrigento
Ci è stato detto pure che il rigassifgicatore di Porto Empedocle risulta strategico per le esigenze energetiche del Paese. Non è vero!
Dopo la scoperta dello shale gas (gas non convenzionale), c' è un enorme surplus di gas nel mondo.
In un'attenta analisi del 27 marzo 2011, il Corriere della Sera ci ha informato che l'Italia si trova nelle condizioni di sfruttare per i prossimi anni il gas già prenotato con contratti del tipo take or pay (prendi o paga), cioè sarà obbligata a pagare forniture di miliardi di euro, anche se non dovesse ritirare alcuni stock di gas già prenotati, per cui, sempre secondo il quotidiano di via Solferino, è stato chiesto alla russa Gazprom di diluire questi impegni in un arco di 25 o più anni per non pagare a vuoto le forniture.
D'altra parte, si sa che il rigassificatore di Panigaglia lavora molto al di sotto delle sue potenzialità e che dal 2009 è entrato in funzione il rigassificatore di Rovigo (questo è off-shore mentre quello di Porto Empedocle è stato incredibilmente progettato alla distanza di 800 m. dal centro abitato di questa cittadina di 15000 abitanti), e che tanti altri rigassificatori sono stati progettati lungo le coste italiane, lontani comunque da centri abitati e da siti archeologici o paesaggistici.
Riteniamo, pertanto, che la costruzione del rigassificatore di Porto Empedocle si può ancora evitare, anche perché Enel è una società a partecipazione pubblica e come tale non dovrebbe perseguire la sola strategia del profitto, mentre dovrebbe avere a cuore il desiderio di evitare la cattiva immagine che deriverebbe, ne siamo certi, a noi Italiani tutti di fronte al mondo intero per la realizzazione del predetto impianto gasiero “a rischio di incidente rilevante”, al confine della Valle dei Templi di Agrigento e a ridosso di un centro abitato.
E' per questi motivi, Signor Presidente, che ci rivolgiamo a Lei quale ultima istanza per evitare tutto ciò.
Nell'attesa e nella speranza di un Suo autorevole intervento, molto cordialmente La salutiamo e La ringraziamo.
Agrigento, 16 novembre 2011
Gaetano Gaziano
Presidente associazione “Salviamo la Valle dei Templi di Agrigento” . Continua a leggere...
l'art. 9 della Costituzione Italiana sancisce il principio della tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione.
L'art. 32 tutela il diritto alla salute di tutti i cittadini.
In questa ottica e con questo spirito abbiamo contrastato il progetto di costruire un rigassificastore da 8 miliardi di mc. (definito dalla normativa Seveso “a rischio di incidente rilevante”) a Porto Empedocle, sotto la Valle dei Templi di Agrigento, patrimonio Unesco, con gli strumenti della democrazia e del diritto.
Ad Agrigento è stato indetto, infatti, un referendum popolare perché il corpo elettorale si pronunciasse sull'opportunità di realizzare il predetto insediamento industriale in prossimità di un sito archeologico di grande valenza storico-culturale.
L'esito del referendum è stato del 95% di “No” contro il 5% di “Sì” e tuttavia non è servito a fermare la macchina burocratica dell'autorizzazione dell'impianto.
Abbiamo fatto ricorso allora agli strumenti dell'ordinamento giuridico italiano, rivolgendoci al Tar del Lazio, che, con sentenza del 14.12.2010, ha annullato il decreto autorizzativo della Regione Sicilia.
Il Consiglio di Stato, con decisione del 19.7.2011, ha ribaltato la sentenza del Tar del Lazio, dando il via libera alla costruzione dell'impianto gasiero, confinante con il parco archeologico della Valle dei Templi di Agrigento.
Signor Presidente, ad oggi risultiamo perdenti, ma con la costruzione dell'impianto risulteranno perdenti, riteniamo, tutti gli Italiani di fronte al mondo della cultura.
Ci è stato detto che sono state rispettate tutte le procedure ed espressi tutti i pareri previsti per legge. E' vero. Ma le istituzioni sono fatte di uomini e, a volte, gli uomini sbagliano. In buona fede, ma sbagliano.
Come non considerare, infatti, un macroscopico errore umano il parere espresso dal Sovrintendente ai BB.CC. di Agrigento con nota del 3.3. 2006 n. 2083, con la quale, dopo avere premesso che “il tracciato del gasdotto di collegamento, nella parte iniziale, attraversa ambiti di collegamento sottoposti a vincolo paesaggistico (D.A. 29 luglio 1993 n. 6458- Zona “Caos”) e, lungo il corso del tracciato, ricade in prossimità di aree di interesse archeologico e di aree boscate ed attraversa infine corsi d'acqua tutelati”, alla fine rilascia il nulla osta, pur se accompagnato da improbabili prescrizioni di coloriture e mascherature.
Su quel nulla osta si fondano tutti pareri successivi, compreso quello favorevole del Ministero dei BB.CC e del Ministero dell'Ambiente.
Com'è certamente sbagliato avere previsto la costruzione di un rigassificatore da 8 miliardi di mc. alla distanza di appena 800 metri dal centro abitato di Porto Empedocle, mentre il più grande esperto internazionale di sicurezza e antiterrorismo, il Prof. Richard Clarke, consulente di tre presidenti americani, consiglia di costruire i rigassificatori, il più distante possibile dai centri abitati.
E infelice è stata anche la scelta di progettare l'impianto gasiero sotto la Valle dei Templi di Agrigento, patrimonio Unesco. E' previsto addirittura che che il gasdotto di collegamento attraversi la buffer zone (zona di rispetto) Unesco del parco archeologico di Agrigento
Ci è stato detto pure che il rigassifgicatore di Porto Empedocle risulta strategico per le esigenze energetiche del Paese. Non è vero!
Dopo la scoperta dello shale gas (gas non convenzionale), c' è un enorme surplus di gas nel mondo.
In un'attenta analisi del 27 marzo 2011, il Corriere della Sera ci ha informato che l'Italia si trova nelle condizioni di sfruttare per i prossimi anni il gas già prenotato con contratti del tipo take or pay (prendi o paga), cioè sarà obbligata a pagare forniture di miliardi di euro, anche se non dovesse ritirare alcuni stock di gas già prenotati, per cui, sempre secondo il quotidiano di via Solferino, è stato chiesto alla russa Gazprom di diluire questi impegni in un arco di 25 o più anni per non pagare a vuoto le forniture.
D'altra parte, si sa che il rigassificatore di Panigaglia lavora molto al di sotto delle sue potenzialità e che dal 2009 è entrato in funzione il rigassificatore di Rovigo (questo è off-shore mentre quello di Porto Empedocle è stato incredibilmente progettato alla distanza di 800 m. dal centro abitato di questa cittadina di 15000 abitanti), e che tanti altri rigassificatori sono stati progettati lungo le coste italiane, lontani comunque da centri abitati e da siti archeologici o paesaggistici.
Riteniamo, pertanto, che la costruzione del rigassificatore di Porto Empedocle si può ancora evitare, anche perché Enel è una società a partecipazione pubblica e come tale non dovrebbe perseguire la sola strategia del profitto, mentre dovrebbe avere a cuore il desiderio di evitare la cattiva immagine che deriverebbe, ne siamo certi, a noi Italiani tutti di fronte al mondo intero per la realizzazione del predetto impianto gasiero “a rischio di incidente rilevante”, al confine della Valle dei Templi di Agrigento e a ridosso di un centro abitato.
E' per questi motivi, Signor Presidente, che ci rivolgiamo a Lei quale ultima istanza per evitare tutto ciò.
Nell'attesa e nella speranza di un Suo autorevole intervento, molto cordialmente La salutiamo e La ringraziamo.
Agrigento, 16 novembre 2011
Gaetano Gaziano
Presidente associazione “Salviamo la Valle dei Templi di Agrigento” . Continua a leggere...
giovedì 8 settembre 2011
Rigassificatore di Porto Empedocle: contrario il presidente della Camera di Commercio di Agrigento
Vittorio Messina, il giovane e coraggioso presidente della Camera di Commercio di Agrigento, si dichiara contrario al rigassificatore di 8 miliardi di mc.a Porto Empedocle sotto la Valle dei Templi di Agrigento e ritiene giusto ricorrere alla Corte Europea dei Diritti Umani (Cedu) di Strasburgo per blocccare il progetto.
Riportiamo integralmente l'articolo di Vittorio Messina pubblicato sul giornale on line www.perlacitta.it.
"In vista della prossima seduta del Consiglio della Camera di commercio di Agrigento, dedicata al piano pluriennale 2011/2016, il presidente Vittorio Messina ,con una nota stampa, anticipa alcune scelte di fondo che caratterizzerano lo strumento di pianificazione dell’Ente, definendo le coordinate lungo le quali camminare nei prossimi anni per sostenere la competitività delle aziende agrigentine e la crescita complessiva del territorio.
La congiuntura economica che stiamo vivendo, riassunta nell’ultimo Report presentato prima dell’estate 2011, impone alla Camera di Commercio di Agrigento una programmazione degli obiettivi che intende perseguire nel prossimo quinquennio molto da un lato molto attenta ai dati reali che costituiscono indubbie indicazioni di merito e al metodo con cui approcciare il problema dello sviluppo economico che ha assunto una configurazione nuova.
L’elemento più visibile di questa novità è che la descrizione scientifica del fenomeno dello sviluppo non è più condotta solo lungo le linee dei settori produttivi, ma integra significativamente anche la dinamica territoriale, aprendo immediatamente il problema di due importanti cinghie di trasmissione: le tecnologie e le istituzioni locali.
Inoltre i momento di difficoltà non può non rafforzare quell’idea di collaborazione tra enti e associazioni operanti a vario titolo nel territorio che da anni l’amministrazione della Camera di commercio porta avanti.
Non a caso alcune comuni attività intraprese , hanno consentito di ottenere risultati significativi ed economie di gestione importanti, mostrando come la strada lungo la quale proseguire sia quella della condivisione progettuale.
Trasferendo questo tipo di approccio al territorio si osserva come le risorse di fiducia e di conoscenza rappresentano le vere fonti dei vantaggi competitivi territoriali in contesti di crescente concorrenzialità , quali quelli attuali.
Per altro, l’attenzione alla dotazione storica, unica e inimitabile, di risorse e specificità locali come fonte dei vantaggi competitivi pone il problema del bilanciamento tra localismo e globalismo , tra vantaggi competitivi locali e concorrenza globale.
La scommessa da giocare, per creare condizioni reali di sviluppo, ha una posta molto alta, è ambiziosa e va centrata su un protagonismo degli attori sociali che affondi le sue radici in un rinnovato sistema istituzionale.
La complessità di un percorso come quello sopra delineato richiede la previsione di precisi passaggi dotati di operatività per salvaguardare le risorse potenziali e per garantire la loro valorizzazione e per promuoverne la diversificazione.
Passaggi che richiedono il rafforzamento della capacità di interloquire tra i diversi soggetti protagonisti del territorio, nonché la capacità di orientare e governare le scelte in un’ottica di superamento di concetti localistici che attualmente non sono più in grado di garantire un ambiente sufficientemente competitivo per le imprese.
Consapevoli delle potenzialità intellettuali e culturali del nostro territorio, occorre puntare con determinazione sulla qualità dei saperi e su un progetto culturale tecnologicamente avanzato. Iniziative come i piani strategici, i patti territoriali, gli strumenti più sofisticati che puntano sullo sviluppo dal basso, i parchi naturali, i parchi archeologici, la diversificazione produttiva favorita dall’ente pubblico in ogni settore, hanno messo le basi per un processo che va ulteriormente potenziato e che deve avere come obiettivo fondamentale uno sviluppo sostenibile.
In questo quadro vanno collocati gli interventi per il completamento della infrastrutturazione del sistema dei trasporti dell’area centro meridionale della Sicilia per l’infrastrutturazione sociale della provincia, per lo sviluppo qualitativo della produzione agricola, per il ridisegno del sistema della promozione turistica e per la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale del territorio.
In questo quadro stride la presenza di un impianto come il rigassificatore di Porto Empedocle, la cui realizzazione abbiamo contrastato non già per posizioni ideologiche ma perché a nostro avviso, a prescindere da tutte le riserve che si possono esprimere in termini di sicurezza, decisamente fuori luogo per la scelta del sito.
La notizia che molti cittadini di Agrigento, con in testa il sindaco Marco Zambuto, stiano preparando un ricorso alla Corte di giustizia europea, che intanto il Fai, che qualche tempo addietro si era schierato a favore dell’impianto oggi si prepara ad una clamorosa retromarcia dichiarando che sarebbe meglio farlo offshore, che anche l’Unesco, per mezzo di Gianni Puglisi che è il suo rappresentante in Italia, fa sapere che sarebbe meglio farlo altrove, confermano la bontà della nostra azione a salvaguardia di un territorio che appartiene al patrimonio dell’umanità ma che è la vera grande ricchezza da preservare, per la città e del suo hinterland.
Le traiettorie dello sviluppo che intendiamo disegnare per questa terra sono incompatibili con un’opera invasiva che snaturerebbe i luoghi, comprometterebbe l’appeal di un sito magico, non porterebbe alcun vantaggio alla nostra comunità.
Proprio perché la provincia di Agrigento ha subito in questi anni un consistente processo di riconversione economica senza avere ancora saputo ridefinire il profilo del proprio futuro, abbiamo ritenuto opportuno evidenziare tutte le nostre perplessità rispetto ad un ipotesi di sviluppo che contempla l’ubicazione di industrie pesanti nel nostro territorio. Scelte che potrebbero compromettere altre strategie finalizzate a mettere a frutto quelle risorse paesaggistiche, culturali e ambientali che molto meglio si conciliano con le spinte vocazionali.
Purtroppo, queste esitazioni determinano un diffuso scetticismo sulla capacità di potere svolgere un ruolo di primo piano nel processo di integrazione europea che sta di fronte al nostro paese.
Ed è per questo che riteniamo che il nostro compito e quello delle Istituzioni locali deve essere indirizzato a ricreare la fiducia, offrendo obiettivi perseguibili e strumenti per realizzarli”.
Dott. Vittorio Messina
Presidente CCIA di Agrigento. Continua a leggere...
Riportiamo integralmente l'articolo di Vittorio Messina pubblicato sul giornale on line www.perlacitta.it.
"In vista della prossima seduta del Consiglio della Camera di commercio di Agrigento, dedicata al piano pluriennale 2011/2016, il presidente Vittorio Messina ,con una nota stampa, anticipa alcune scelte di fondo che caratterizzerano lo strumento di pianificazione dell’Ente, definendo le coordinate lungo le quali camminare nei prossimi anni per sostenere la competitività delle aziende agrigentine e la crescita complessiva del territorio.
La congiuntura economica che stiamo vivendo, riassunta nell’ultimo Report presentato prima dell’estate 2011, impone alla Camera di Commercio di Agrigento una programmazione degli obiettivi che intende perseguire nel prossimo quinquennio molto da un lato molto attenta ai dati reali che costituiscono indubbie indicazioni di merito e al metodo con cui approcciare il problema dello sviluppo economico che ha assunto una configurazione nuova.
L’elemento più visibile di questa novità è che la descrizione scientifica del fenomeno dello sviluppo non è più condotta solo lungo le linee dei settori produttivi, ma integra significativamente anche la dinamica territoriale, aprendo immediatamente il problema di due importanti cinghie di trasmissione: le tecnologie e le istituzioni locali.
Inoltre i momento di difficoltà non può non rafforzare quell’idea di collaborazione tra enti e associazioni operanti a vario titolo nel territorio che da anni l’amministrazione della Camera di commercio porta avanti.
Non a caso alcune comuni attività intraprese , hanno consentito di ottenere risultati significativi ed economie di gestione importanti, mostrando come la strada lungo la quale proseguire sia quella della condivisione progettuale.
Trasferendo questo tipo di approccio al territorio si osserva come le risorse di fiducia e di conoscenza rappresentano le vere fonti dei vantaggi competitivi territoriali in contesti di crescente concorrenzialità , quali quelli attuali.
Per altro, l’attenzione alla dotazione storica, unica e inimitabile, di risorse e specificità locali come fonte dei vantaggi competitivi pone il problema del bilanciamento tra localismo e globalismo , tra vantaggi competitivi locali e concorrenza globale.
La scommessa da giocare, per creare condizioni reali di sviluppo, ha una posta molto alta, è ambiziosa e va centrata su un protagonismo degli attori sociali che affondi le sue radici in un rinnovato sistema istituzionale.
La complessità di un percorso come quello sopra delineato richiede la previsione di precisi passaggi dotati di operatività per salvaguardare le risorse potenziali e per garantire la loro valorizzazione e per promuoverne la diversificazione.
Passaggi che richiedono il rafforzamento della capacità di interloquire tra i diversi soggetti protagonisti del territorio, nonché la capacità di orientare e governare le scelte in un’ottica di superamento di concetti localistici che attualmente non sono più in grado di garantire un ambiente sufficientemente competitivo per le imprese.
Consapevoli delle potenzialità intellettuali e culturali del nostro territorio, occorre puntare con determinazione sulla qualità dei saperi e su un progetto culturale tecnologicamente avanzato. Iniziative come i piani strategici, i patti territoriali, gli strumenti più sofisticati che puntano sullo sviluppo dal basso, i parchi naturali, i parchi archeologici, la diversificazione produttiva favorita dall’ente pubblico in ogni settore, hanno messo le basi per un processo che va ulteriormente potenziato e che deve avere come obiettivo fondamentale uno sviluppo sostenibile.
In questo quadro vanno collocati gli interventi per il completamento della infrastrutturazione del sistema dei trasporti dell’area centro meridionale della Sicilia per l’infrastrutturazione sociale della provincia, per lo sviluppo qualitativo della produzione agricola, per il ridisegno del sistema della promozione turistica e per la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale del territorio.
In questo quadro stride la presenza di un impianto come il rigassificatore di Porto Empedocle, la cui realizzazione abbiamo contrastato non già per posizioni ideologiche ma perché a nostro avviso, a prescindere da tutte le riserve che si possono esprimere in termini di sicurezza, decisamente fuori luogo per la scelta del sito.
La notizia che molti cittadini di Agrigento, con in testa il sindaco Marco Zambuto, stiano preparando un ricorso alla Corte di giustizia europea, che intanto il Fai, che qualche tempo addietro si era schierato a favore dell’impianto oggi si prepara ad una clamorosa retromarcia dichiarando che sarebbe meglio farlo offshore, che anche l’Unesco, per mezzo di Gianni Puglisi che è il suo rappresentante in Italia, fa sapere che sarebbe meglio farlo altrove, confermano la bontà della nostra azione a salvaguardia di un territorio che appartiene al patrimonio dell’umanità ma che è la vera grande ricchezza da preservare, per la città e del suo hinterland.
Le traiettorie dello sviluppo che intendiamo disegnare per questa terra sono incompatibili con un’opera invasiva che snaturerebbe i luoghi, comprometterebbe l’appeal di un sito magico, non porterebbe alcun vantaggio alla nostra comunità.
Proprio perché la provincia di Agrigento ha subito in questi anni un consistente processo di riconversione economica senza avere ancora saputo ridefinire il profilo del proprio futuro, abbiamo ritenuto opportuno evidenziare tutte le nostre perplessità rispetto ad un ipotesi di sviluppo che contempla l’ubicazione di industrie pesanti nel nostro territorio. Scelte che potrebbero compromettere altre strategie finalizzate a mettere a frutto quelle risorse paesaggistiche, culturali e ambientali che molto meglio si conciliano con le spinte vocazionali.
Purtroppo, queste esitazioni determinano un diffuso scetticismo sulla capacità di potere svolgere un ruolo di primo piano nel processo di integrazione europea che sta di fronte al nostro paese.
Ed è per questo che riteniamo che il nostro compito e quello delle Istituzioni locali deve essere indirizzato a ricreare la fiducia, offrendo obiettivi perseguibili e strumenti per realizzarli”.
Dott. Vittorio Messina
Presidente CCIA di Agrigento. Continua a leggere...
domenica 28 agosto 2011
"Le rouge et le noir"
«Benvenuto, caro Leonardo! Ti stavamo aspettando».
Stendhal accoglie Sciascia, con un largo sorriso.
«Anch’io sono felice di incontrarla, maestro!».
«Alt! In questo luogo non ci sono né maestri né allievi. Niente maîtres à penser!».
«D’accordo Henri, niente formalismi. Consentimi, comunque, di dirti che sono veramente felice di incontrarti. Era da tempo che aspettavo questo momento. Tu conosci l’ammirazione che ho per te».
«Lo so! Ma, del resto, è abbondantemente ricambiata. Quassù, potremo scambiarci le nostre riflessioni direttamente, lontani dal quel fastidioso rumore di fondo di quella che chiamano “vita terrena”». «Finalmente! Sapessi a cosa si è ridotta la comunicazione laggiù: autentica spazzatura! Nelle librerie, poi, i best sellers sono rappresentati dai libri dei comici di successo. Pochissime sono, ormai, le opere di narrativa che valga la pena di leggere».
«Davvero?».
«Sì, mio caro Henri! E questo è per me un grande dolore. Ma veniamo a noi. Sai, è da tempo che volevo chiederti due o tre cose, anche per liberare il campo da alcune perplessità che avanzano gli studiosi delle tue opere».
«So bene a cosa alludi: ai sospetti, neppure tanto larvati, di egoismo, di spregiudicatezza o, addirittura, di cinismo…».
«Ecco, in non volevo dirlo. Ma, visto che sei tu a parlarne…Per esempio, qualcuno ha visto, nelle tue dichiarazioni di amore sperticate per l’Italia, un atteggiamento di comodo, quasi furbesco, per tenerti buona l’intellighentia milanese, visto che tu arrivavi a Milano come sottotenentino dell’esercito napoleonico. Vero è che scendevate in Italia come esercito di liberazione. Ma qualcuno cominciò a parlare velatamente di nuove truppe di occupazione francesi».
«Mi è facile contestare questi sospetti, mio caro Nanà! (Consentimi di chiamarti come i tuoi amici di Racalmuto). A quel tempo avevo solo diciassette anni. Seguii Bonaparte in Italia, perché mi sembrò l’unica possibilità di viaggiare e di conoscere il vostro meraviglioso paese. E tu sai, del resto, che ben presto mi stancai della vita militare e lasciai l’esercito, per dedicarmi a miei studi sulla storia e sull’arte italiane. E, poi, qualsiasi sospetto di opportunismo dovrebbe essere fugato dal fatto che ho chiesto, a testimonianza dell’amore per Milano, che sulla mia tomba venisse scritto l’epitaffio “Qui giace Arrigho Beyle, milanese”. Quando sei morto, mio caro Nanà, le furbizie non servono più!».
«E’ vero! Ma, d’altre parte, io non avevo alcun dubbio. Dicono, pure, che tu hai sfruttato il fascino, che esercitavi sulle donne, per fare carriera. Che come Julien Sorel, il protagonista di "Le rouge et le noir", avresti tentato di introdurti nella società bene, di acquisirne benemerenze e incarichi, attraverso le tue conquiste galanti, che,per la verità, collezionavi con grande facilità, soprattutto tra le dame dell’aristocrazia».
«Hai ragione! In Julien Sorel c’è molto di autobiografico. Fino a un certo punto, però. E’ vero: come lui avevo un debole per le donne. E chi lo nega? Ma non ho mai utilizzato le mie conquiste galanti come grimaldello per “sfondare” nella società che conta, come sostiene qualcuno. D’altra parte, in Italia non ho mai avuto incarichi ufficiali, né pubblici né privati. Ho sempre lavorato per lo Stato francese, fino al mio ultimo incarico, che è stato quello di console, a Civitavecchia. E, poi, questa fama di seduttore è stata un po’ montata ad arte, a beneficio di certa letteratura pruriginosa. Se consideri, peraltro, che l’unica donna italiana a cui tenevo veramente, la contessina Giulia Ranieri, di cui ho chiesto anche la mano, mi ha opposto un cortese ma netto rifiuto, mi ha dato “coffa” come dite voi siciliani, la leggenda metropolitana di uno Stendhal tombeur de femmes ne esce notevolmente ridimensionata».
«Assolutamente convincente, mio caro Henri! E, ora, levami un’ultima curiosità. Perché hai dato il titolo di Le rouge et le noir al tuo romanzo più famoso? Tu sai bene che sono state date molte interpretazioni al riguardo. Qualcuno ha detto che il titolo ha un riferimento preciso al nero dell’abito talare di Julien Sorel, ex seminarista, e al rosso del sangue, visto che Julien finì ghigliottinato. C’è chi ha sostenuto che hai inteso alludere al contrasto tra i clericali (nero) e i liberali (rosso) del tempo. Chi porta avanti altre teorie ancora. Per favore, vuoi dare la tua versione autentica, per mettere la parola fine a tutte queste diatribe?».
«Io, ovviamente, la mia motivazione la conosco. Ma consentimi di essere un po’ cinico, questa volta sì. Non la rivelerò mai! Ma tu te l’immagini? Se dovessi svelare l’origine del titolo, farei la gioia di un critico letterario per scontentarne almeno altri dieci: meglio lasciarli nelle loro convinzioni. Ma, a proposito di rouge et noir, perché non parlare di un argomento più divertente? Più frivolo, direi. Parliamo di vini! Credo che possiamo dare, vista la nostra condizione diciamo così “spirituale”, un’autorevole opinione sull’eterna querelle se siano più buoni i vini francesi o quelli italiani. Sei d’accordo Nanà?».
«Pienamente d’accordo. Io, al riguardo, ho un’idea ben precisa. Chapeau bas, tanto di cappello, ai vini bianchi francesi, soprattutto allo champagne. Ma, per quanto riguarda i rossi, non credo che esistano vini più buoni di quelli siciliani. Penso sempre, con grande nostalgia, al vino rosso che si produce nella mia amata campagna in contrada “La Noce”, a Racalmuto. Che profumo delicato! Che sapore intenso! Che emozioni, al momento della vendemmia con tutti i ragazzi a fare festa, mentre pigiavamo l’uva a piedi scalzi! E, poi, un anno, successe un fatto bellissimo, che ricordo sempre con piacere».
«Quale?».
«Mentre pigiavamo l’uva, preso dai fumi del mosto, crollai in mezzo al tino. I miei compagni prontamente mi risollevarono, ma, completamente ebbro, ridevo e straparlavo, mentre loro mi sorreggevano per le braccia».
«E cosa dicevi?».
«Fantasticavo, a quanto mi raccontarono dopo, di trovarmi in mezzo a un Baccanale in pieno svolgimento, secondo il rito pagano, che ci aveva spiegato, qualche tempo prima, il nostro vecchio insegnante di latino».
«Interessante! Soprattutto, sotto l’aspetto letterario. Racconta!».
«Io mi trovavo proprio in mezzo al corteo, preceduto dalle Menadi, le vergini che reggevano un enorme fallo di legno, simbolo della fertilità della terra e propiziatore di abbondanti raccolti, che procedeva, ondeggiando, tra la folla acclamante. Seguivano i Satiri, che, con i loro flauti doppi e tamburelli, intonavano suoni, a ritmo sempre più incalzante e frenetico».
«E, tu, che ruolo avevi nel rito?».
«Rappresentavo Dioniso. Cinto di pampini di vite, avanzavo tra la folla, sopra un cocchio trainato da cavalli, distribuendo grappoli di uva nera, mentre le Menadi mescevano vino a profusione alla folla sempre più vociante ed eccitata».
«E come è finita?».
«Come tutti i riti dionisiaci: con il fallo-falò! Ovverosia, con l’incendio dell’enorme simbolo fallico, mentre Dioniso, le Menadi e i Satiri, tutt’intorno, davamo vita a un vorticoso e delirante carosello».
«E tu?».
«Io, a detta dei miei compagni, alla fine del racconto che avevo fatto quasi in trance, completamente madido di sudore e con i vestiti zuppi di mosto, caddi in un sonno profondo e mi risvegliai nella mia casa di campagna, in contrada “La Noce”, dove mi avevano trasportato a braccia, solo due giorni dopo».
«Fantastico argomento per un racconto! Come mai non hai scritto niente, al riguardo?».
«Mi ripromettevo sempre di scriverci qualcosa, ma, poi, per un motivo o per un altro, ho sempre rimandato. Peccato! Chissa che, un giorno, qualche scrittore non prenda spunto da questo episodio, per realizzarci un racconto. Mah! Io me lo auguro. Ecco, in conclusione, perché ritengo il mio “Rosso della Noce” il vino più buono del mondo. Io non bevo molto, credimi, ma basta un goccetto del mio vino a mettermi allegria. A rendermi euforico».
«Tu non sei un estimatore del tuo vino. Di più: ne sei innamorato!».
«E’ vero, non posso negarlo: amo il vino della mia contrada! Che ne dici, mio caro Henri, ci facciamo un goccetto di rosso?».
«Ouì très volontiers, mon cher Nanà!».
Gaetano Gaziano
tanogaziano@yahoo.it
Questo è il mio quarto racconto tratto dalla raccolta "Il Bacchino ubriaco", edita dalla "Excogita" di Milano.
Chi volesse acquistare il libro segua questo link
http://www.bol.it/libri/Bacchino-ubriaco-altre-storie/Gaetano-Gaziano/ea978888972714/ Continua a leggere...
Stendhal accoglie Sciascia, con un largo sorriso.
«Anch’io sono felice di incontrarla, maestro!».
«Alt! In questo luogo non ci sono né maestri né allievi. Niente maîtres à penser!».
«D’accordo Henri, niente formalismi. Consentimi, comunque, di dirti che sono veramente felice di incontrarti. Era da tempo che aspettavo questo momento. Tu conosci l’ammirazione che ho per te».
«Lo so! Ma, del resto, è abbondantemente ricambiata. Quassù, potremo scambiarci le nostre riflessioni direttamente, lontani dal quel fastidioso rumore di fondo di quella che chiamano “vita terrena”». «Finalmente! Sapessi a cosa si è ridotta la comunicazione laggiù: autentica spazzatura! Nelle librerie, poi, i best sellers sono rappresentati dai libri dei comici di successo. Pochissime sono, ormai, le opere di narrativa che valga la pena di leggere».
«Davvero?».
«Sì, mio caro Henri! E questo è per me un grande dolore. Ma veniamo a noi. Sai, è da tempo che volevo chiederti due o tre cose, anche per liberare il campo da alcune perplessità che avanzano gli studiosi delle tue opere».
«So bene a cosa alludi: ai sospetti, neppure tanto larvati, di egoismo, di spregiudicatezza o, addirittura, di cinismo…».
«Ecco, in non volevo dirlo. Ma, visto che sei tu a parlarne…Per esempio, qualcuno ha visto, nelle tue dichiarazioni di amore sperticate per l’Italia, un atteggiamento di comodo, quasi furbesco, per tenerti buona l’intellighentia milanese, visto che tu arrivavi a Milano come sottotenentino dell’esercito napoleonico. Vero è che scendevate in Italia come esercito di liberazione. Ma qualcuno cominciò a parlare velatamente di nuove truppe di occupazione francesi».
«Mi è facile contestare questi sospetti, mio caro Nanà! (Consentimi di chiamarti come i tuoi amici di Racalmuto). A quel tempo avevo solo diciassette anni. Seguii Bonaparte in Italia, perché mi sembrò l’unica possibilità di viaggiare e di conoscere il vostro meraviglioso paese. E tu sai, del resto, che ben presto mi stancai della vita militare e lasciai l’esercito, per dedicarmi a miei studi sulla storia e sull’arte italiane. E, poi, qualsiasi sospetto di opportunismo dovrebbe essere fugato dal fatto che ho chiesto, a testimonianza dell’amore per Milano, che sulla mia tomba venisse scritto l’epitaffio “Qui giace Arrigho Beyle, milanese”. Quando sei morto, mio caro Nanà, le furbizie non servono più!».
«E’ vero! Ma, d’altre parte, io non avevo alcun dubbio. Dicono, pure, che tu hai sfruttato il fascino, che esercitavi sulle donne, per fare carriera. Che come Julien Sorel, il protagonista di "Le rouge et le noir", avresti tentato di introdurti nella società bene, di acquisirne benemerenze e incarichi, attraverso le tue conquiste galanti, che,per la verità, collezionavi con grande facilità, soprattutto tra le dame dell’aristocrazia».
«Hai ragione! In Julien Sorel c’è molto di autobiografico. Fino a un certo punto, però. E’ vero: come lui avevo un debole per le donne. E chi lo nega? Ma non ho mai utilizzato le mie conquiste galanti come grimaldello per “sfondare” nella società che conta, come sostiene qualcuno. D’altra parte, in Italia non ho mai avuto incarichi ufficiali, né pubblici né privati. Ho sempre lavorato per lo Stato francese, fino al mio ultimo incarico, che è stato quello di console, a Civitavecchia. E, poi, questa fama di seduttore è stata un po’ montata ad arte, a beneficio di certa letteratura pruriginosa. Se consideri, peraltro, che l’unica donna italiana a cui tenevo veramente, la contessina Giulia Ranieri, di cui ho chiesto anche la mano, mi ha opposto un cortese ma netto rifiuto, mi ha dato “coffa” come dite voi siciliani, la leggenda metropolitana di uno Stendhal tombeur de femmes ne esce notevolmente ridimensionata».
«Assolutamente convincente, mio caro Henri! E, ora, levami un’ultima curiosità. Perché hai dato il titolo di Le rouge et le noir al tuo romanzo più famoso? Tu sai bene che sono state date molte interpretazioni al riguardo. Qualcuno ha detto che il titolo ha un riferimento preciso al nero dell’abito talare di Julien Sorel, ex seminarista, e al rosso del sangue, visto che Julien finì ghigliottinato. C’è chi ha sostenuto che hai inteso alludere al contrasto tra i clericali (nero) e i liberali (rosso) del tempo. Chi porta avanti altre teorie ancora. Per favore, vuoi dare la tua versione autentica, per mettere la parola fine a tutte queste diatribe?».
«Io, ovviamente, la mia motivazione la conosco. Ma consentimi di essere un po’ cinico, questa volta sì. Non la rivelerò mai! Ma tu te l’immagini? Se dovessi svelare l’origine del titolo, farei la gioia di un critico letterario per scontentarne almeno altri dieci: meglio lasciarli nelle loro convinzioni. Ma, a proposito di rouge et noir, perché non parlare di un argomento più divertente? Più frivolo, direi. Parliamo di vini! Credo che possiamo dare, vista la nostra condizione diciamo così “spirituale”, un’autorevole opinione sull’eterna querelle se siano più buoni i vini francesi o quelli italiani. Sei d’accordo Nanà?».
«Pienamente d’accordo. Io, al riguardo, ho un’idea ben precisa. Chapeau bas, tanto di cappello, ai vini bianchi francesi, soprattutto allo champagne. Ma, per quanto riguarda i rossi, non credo che esistano vini più buoni di quelli siciliani. Penso sempre, con grande nostalgia, al vino rosso che si produce nella mia amata campagna in contrada “La Noce”, a Racalmuto. Che profumo delicato! Che sapore intenso! Che emozioni, al momento della vendemmia con tutti i ragazzi a fare festa, mentre pigiavamo l’uva a piedi scalzi! E, poi, un anno, successe un fatto bellissimo, che ricordo sempre con piacere».
«Quale?».
«Mentre pigiavamo l’uva, preso dai fumi del mosto, crollai in mezzo al tino. I miei compagni prontamente mi risollevarono, ma, completamente ebbro, ridevo e straparlavo, mentre loro mi sorreggevano per le braccia».
«E cosa dicevi?».
«Fantasticavo, a quanto mi raccontarono dopo, di trovarmi in mezzo a un Baccanale in pieno svolgimento, secondo il rito pagano, che ci aveva spiegato, qualche tempo prima, il nostro vecchio insegnante di latino».
«Interessante! Soprattutto, sotto l’aspetto letterario. Racconta!».
«Io mi trovavo proprio in mezzo al corteo, preceduto dalle Menadi, le vergini che reggevano un enorme fallo di legno, simbolo della fertilità della terra e propiziatore di abbondanti raccolti, che procedeva, ondeggiando, tra la folla acclamante. Seguivano i Satiri, che, con i loro flauti doppi e tamburelli, intonavano suoni, a ritmo sempre più incalzante e frenetico».
«E, tu, che ruolo avevi nel rito?».
«Rappresentavo Dioniso. Cinto di pampini di vite, avanzavo tra la folla, sopra un cocchio trainato da cavalli, distribuendo grappoli di uva nera, mentre le Menadi mescevano vino a profusione alla folla sempre più vociante ed eccitata».
«E come è finita?».
«Come tutti i riti dionisiaci: con il fallo-falò! Ovverosia, con l’incendio dell’enorme simbolo fallico, mentre Dioniso, le Menadi e i Satiri, tutt’intorno, davamo vita a un vorticoso e delirante carosello».
«E tu?».
«Io, a detta dei miei compagni, alla fine del racconto che avevo fatto quasi in trance, completamente madido di sudore e con i vestiti zuppi di mosto, caddi in un sonno profondo e mi risvegliai nella mia casa di campagna, in contrada “La Noce”, dove mi avevano trasportato a braccia, solo due giorni dopo».
«Fantastico argomento per un racconto! Come mai non hai scritto niente, al riguardo?».
«Mi ripromettevo sempre di scriverci qualcosa, ma, poi, per un motivo o per un altro, ho sempre rimandato. Peccato! Chissa che, un giorno, qualche scrittore non prenda spunto da questo episodio, per realizzarci un racconto. Mah! Io me lo auguro. Ecco, in conclusione, perché ritengo il mio “Rosso della Noce” il vino più buono del mondo. Io non bevo molto, credimi, ma basta un goccetto del mio vino a mettermi allegria. A rendermi euforico».
«Tu non sei un estimatore del tuo vino. Di più: ne sei innamorato!».
«E’ vero, non posso negarlo: amo il vino della mia contrada! Che ne dici, mio caro Henri, ci facciamo un goccetto di rosso?».
«Ouì très volontiers, mon cher Nanà!».
Gaetano Gaziano
tanogaziano@yahoo.it
Questo è il mio quarto racconto tratto dalla raccolta "Il Bacchino ubriaco", edita dalla "Excogita" di Milano.
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venerdì 12 agosto 2011
Rigassificatore di Porto Empedocle: nuova interrogazione di Sonia Alfano alla Commissione Europea
Sonia Alfano ha presentato una nuova interrogazione alla Commissione Europea sul rigassificatore di Porto Empedocle. Questo il testo...
“In risposta all’interrogazione E-4831/2010 – scrive l’on. Alfano nella premessa del suo atto ispettivo – la Commissione Europea il 12/10/2010 dichiarava che, con riferimento alla denuncia per presunti aiuti di Stato illegittimi per la costruzione di impianti di rigassificazione in Italia, avrebbe aperto un’indagine e valutato la situazione con attenzione. In data 17 /06/ 2011 la DG Concorrenza inviava una nota ai denuncianti con riferimento al caso CP 81/2009 nella quale comunicava che, avendo ricevuto le necessarie informazioni dall’Italia, non riteneva di dare seguito alla denuncia. Nella nota inviata dalla Commissione si registrano a mio modo di vedere numerosi passaggi per i quali risulta necessario un approfondimento”.
“La Commissione stessa – continua Sonia Alfano – afferma che siamo in presenza di una “garanzia di reddito prevista dalla legislazione italiana” offerta ai terminali di rigassificazione di recente o prossima costruzione. Il dato di fatto è che dunque la Commissione riconosce che siamo in presenza di un aiuto di Stato. D’altra parte tale aiuto, vista la natura dell’impianto e le modalità, non risponde ad alcuna delle eccezioni esistenti nei trattati e nella normativa europea, tale che esso risulti compatibile con il mercato interno”.
“La Commissione precisa “innanzitutto” – aggiunge l’europarlamentare di IdV – che “il provvedimento descritto non è mai stato applicato”. Si ritiene grave che la Commissione tenda a utilizzare prioritariamente questa argomentazione poiché essa sarebbe accettabile nel caso in cui il provvedimento non fosse approvato. Non è ammissibile invece su un atto che dispiega pienamente i suoi effetti e dunque su cui la Commissione ha l’obbligo di intervenire, senza attendere che venga applicato. Appare inammissibile che la Commissione faccia riferimento alle “buone probabilità” che tale aiuto venga considerato legittimo. La Commissione ha il compito di valutare e accertare sulla base della normativa esistente se siamo in presenza di un aiuto di Stato illegittimo o no”.
“Si domanda pertanto alla Commissione Europea – conclude l’on. Alfano – una risposta puntuale per ciascuna delle seguenti domande:
1) in che maniera il fatto che la “garanzia di reddito è volta a coprire una quota degli investimenti in conto capitale per la costruzione dell’impianto” consente di escludere l’illiceità di tali aiuti?
2) Qual è la “capacità di rigassificazione su base nazionale” cui si fa riferimento?
3) Quali sarebbero le “specifiche condizioni” cui sarebbe sottoposta tale “garanzia di reddito”?
4) La Commissione ha l’obbligo di intervenire in caso di provvedimenti efficaci pur se non applicati?
5) Quali sono le motivazioni che “con buona probabilità” inducono la Commissione ad affermare che siffatto aiuto è compatibile con il mercato comune?
6) Può la Commissione rispondere quanto prima alla richiesta inviata dai denuncianti il 27/07/11, in modo da dare accesso alla documentazione per consentire loro di fare eventuali e aggiuntive riflessioni”.
Sonia Alfano, nel pubblicare sul proprio sito "www.soniaalfano.it l'interrogazione, ha così commentato le finalità della sua ultima iniziativa politica. "Ho presentato una nuova interrogazione alla Commissione Europea. NO ai “prenditori” di soldi pubblici. NO alla distruzione paesaggistica (e non solo) della Valle dei Templi". Continua a leggere...
“In risposta all’interrogazione E-4831/2010 – scrive l’on. Alfano nella premessa del suo atto ispettivo – la Commissione Europea il 12/10/2010 dichiarava che, con riferimento alla denuncia per presunti aiuti di Stato illegittimi per la costruzione di impianti di rigassificazione in Italia, avrebbe aperto un’indagine e valutato la situazione con attenzione. In data 17 /06/ 2011 la DG Concorrenza inviava una nota ai denuncianti con riferimento al caso CP 81/2009 nella quale comunicava che, avendo ricevuto le necessarie informazioni dall’Italia, non riteneva di dare seguito alla denuncia. Nella nota inviata dalla Commissione si registrano a mio modo di vedere numerosi passaggi per i quali risulta necessario un approfondimento”.
“La Commissione stessa – continua Sonia Alfano – afferma che siamo in presenza di una “garanzia di reddito prevista dalla legislazione italiana” offerta ai terminali di rigassificazione di recente o prossima costruzione. Il dato di fatto è che dunque la Commissione riconosce che siamo in presenza di un aiuto di Stato. D’altra parte tale aiuto, vista la natura dell’impianto e le modalità, non risponde ad alcuna delle eccezioni esistenti nei trattati e nella normativa europea, tale che esso risulti compatibile con il mercato interno”.
“La Commissione precisa “innanzitutto” – aggiunge l’europarlamentare di IdV – che “il provvedimento descritto non è mai stato applicato”. Si ritiene grave che la Commissione tenda a utilizzare prioritariamente questa argomentazione poiché essa sarebbe accettabile nel caso in cui il provvedimento non fosse approvato. Non è ammissibile invece su un atto che dispiega pienamente i suoi effetti e dunque su cui la Commissione ha l’obbligo di intervenire, senza attendere che venga applicato. Appare inammissibile che la Commissione faccia riferimento alle “buone probabilità” che tale aiuto venga considerato legittimo. La Commissione ha il compito di valutare e accertare sulla base della normativa esistente se siamo in presenza di un aiuto di Stato illegittimo o no”.
“Si domanda pertanto alla Commissione Europea – conclude l’on. Alfano – una risposta puntuale per ciascuna delle seguenti domande:
1) in che maniera il fatto che la “garanzia di reddito è volta a coprire una quota degli investimenti in conto capitale per la costruzione dell’impianto” consente di escludere l’illiceità di tali aiuti?
2) Qual è la “capacità di rigassificazione su base nazionale” cui si fa riferimento?
3) Quali sarebbero le “specifiche condizioni” cui sarebbe sottoposta tale “garanzia di reddito”?
4) La Commissione ha l’obbligo di intervenire in caso di provvedimenti efficaci pur se non applicati?
5) Quali sono le motivazioni che “con buona probabilità” inducono la Commissione ad affermare che siffatto aiuto è compatibile con il mercato comune?
6) Può la Commissione rispondere quanto prima alla richiesta inviata dai denuncianti il 27/07/11, in modo da dare accesso alla documentazione per consentire loro di fare eventuali e aggiuntive riflessioni”.
Sonia Alfano, nel pubblicare sul proprio sito "www.soniaalfano.it l'interrogazione, ha così commentato le finalità della sua ultima iniziativa politica. "Ho presentato una nuova interrogazione alla Commissione Europea. NO ai “prenditori” di soldi pubblici. NO alla distruzione paesaggistica (e non solo) della Valle dei Templi". Continua a leggere...
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